Gianni Riotta: George Bush e il Macellaio

04 Luglio 2006
La Corte Suprema degli Stati Uniti cancella, con una sentenza radicale, le commissioni speciali che avrebbero dovuto mettere alla sbarra gli imputati di Guantanamo, dichiarandole fuorilegge davanti al diritto militare americano e davanti alla Convenzione di Ginevra. Nelle stesse ore l’Iran nomina come suo delegato alla Convenzione per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, il magistrato Saeed Mortazawi, feroce nella repressione di ogni voce dissidente, implicato in torture, noto con l’infame nomignolo di ‟Macellaio”. Che cosa hanno in comune le due notizie? In apparenza solo il tema, diritti umani, come affrontato dagli Stati Uniti di George W. Bush e dal rivale nella sfida nucleare, l’Iran del presidente Mahmoud Ahmadinejad. In realtà il freno severo posto a Bush e la sprezzante decisione di Teheran offrono materia per una importante riflessione su come, nel mondo globale, il rispetto della legge e la forza dell’opinione pubblica distinguano la capacità delle democrazie di correggere gli errori dalla protervia con cui i regimi autoritari si incaponiscono in scelte sbagliate. Guardiamo più da vicino ai due episodi. L’intera presidenza di Bush, dall’11 settembre in avanti, si fonda sul diritto di emergenza che, codificato dal giurista John Yoo, concede al potere esecutivo, la Casa Bianca, preminenza assoluta rispetto al potere giudiziario della magistratura e ai legislatori del Congresso. Con l’opinione pubblica ipnotizzata dalla paura, i giornali in sordina e il parlamento solidale, Bush ha avuto buon gioco a creare un sistema parallelo di giudizio, sottraendo i detenuti di Guantanamo al tradizionale percorso processuale. La Corte ha ribadito che nessun imputato è mai denudato dalle garanzie e il caso di Salim Ahmed Hamdan presto permetterà a tutti i 450 detenuti di Guantanamo l’accesso a corti regolari, civili o militari. Al tempo stesso i cinque giudici della maggioranza moderata hanno imposto ai tre colleghi conservatori (il presidente Roberts s’è astenuto, ma la pensa come Bush) il rispetto per il diritto internazionale, così inviso agli uomini del vicepresidente Cheney. Rompendo con la diplomazia di suo padre, Bush ha sempre considerato le Convenzioni sovranazionali una palla al piede nella lotta al terrore, e quando non ha potuto disfarsene s’è limitato ad ignorarle. La Corte gli ha ora ricordato, con bisecolare maestà, che i patti sottoscritti liberamente da Washington hanno valore vincolante di legge. È una svolta di raziocinio cui hanno contribuito sia i media americani, tornati al ruolo classico di coscienza critica, che gli alleati europei, specialmente quelli come la cancelliera Merkel e il premier Blair, capaci di incalzare gli alleati con rigore ma senza sgangherata petulanza. È inutile che i repubblicani del Congresso si attardino a censurare la libera stampa, come hanno fatto con un loro propagandistico ordine del giorno. Dalla denuncia degli abusi, alla tutela della privacy, dalle intercettazioni illegali e dalle talpe che scavano in segreto nei conti in banca, l’opinione pubblica americana è di nuovo bene informata. La virtù di curarsi da sé manca del tutto all’Iran. Da tempo si voleva riformare la Commissione diritti umani dell’Onu per evitare lo sconcio spettacolo di regimi come Libia o il Sudan a presiedere il forum preposto a custodire libertà e tolleranza. La novità ottenuta dal segretario generale Kofi Annan era il classico bicchiere mezzo pieno, finché Teheran non l’ha svuotato di ogni residuo sapore nominando come suo rappresentante il giudice Mortazawi. Il curriculum del ‟Macellaio” comprende cento giornali e riviste chiusi, processi a reporter, attivisti, studenti. Atroci i casi della fotografa canadese Zahra Kazemi, interrogata in prigione da Mortazawi e poi trovata morta e torturata e dei bloggers di Internet, seviziati durante un’inchiesta condotta dall’uomo chiamato ora a tutelare i diritti. Ecco i due volti del mondo. Da una parte le democrazie, imperfette, a volte grottesche come nel documento Usa contro il diritto di cronaca ma aperte all’autocorrezione. Dall’altra i regimi autoritari, che devono ogni giorno praticare la fatica del male.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …