Susanna Nirenstein: I nipotini terribili di Márquez

17 Giugno 2002
Niente diamanti dentro i frutti tropicali. Niente cento anni di pioggia. Né fiori che cadono dal cielo per una notte intera. E nemmeno angeli caduti. Macondo, il regno di García Marquéz e del realismo magico che ha segnato negli ultimi decenni la letteratura sudamericana (uscì nel 1967), sembra lontano anni luce. Apriamo una pagina a caso, anzi no, la prima pagina di C'era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo, il romanzo del colombiano Efraim Medina Reyes, classe 1964.
Ecco poche righe dell'autopresentazione che il protagonista Rep (da Reptil), rivolge al lettore: «Sono alto un metro e ottantatré e peso ottantuno chili (come i cowboy di Marcial Lafuente Estefanìa), ho gli occhi neri e infossati che paiono due canne di fucile pronte a sparare, la bocca sensuale e una verga di 25 centimetri nei giorni più caldi. Ho avuto ferite d’arma da fuoco, da taglio e da oggetti non identificati. Non ho mai ammazzato nessuno ma ho portato più d’uno sull’orlo della morte fisica e spirituale. Meglio non farmi incazzare. Ho il cuore acuminato come le schegge di un’esplosione. Non mi piace la gente lagnosa né le madri che picchiano i figli. Esiste una bella donna di nome Nilda che mi piace un casino». Avrete capito che non ci sono «case d’argilla e di canna selvatica», suoni di zufoli alla Inti Illimani. Medina non ama il folklore, i toni lirici, i buonismi, gli sdilinquimenti. Ma non crediate per via di quella storia della «verga» che ci sia della pornografia perché non ce n’è: il sesso è molto agitato, sbandierato, fa parte del gradassismo necessario a parlare di duri, e più che altro se ne deve ridere. Efraim è irriverente, strafottente, ironico, rabbioso fino all’estremo limite. Siamo in piena metropoli, in questo caso Bogotà, la "città immobile" come Medina la chiama spesso, una città che potrebbe essere più o meno ovunque nel mondo. E ai muri della casa di Rep ci sono manifesti di Teo Monk e Jim Morrison, anche se il suo refrain gira intorno a Sid Vicious, il cantante del gruppo più punk del mondo, i Sex Pistols, la star che morì di overdose poco tempo dopo aver ammazzato la sua adorata Nancy, per incapacità di vivere, per troppo amore, per sballo.
Una storia forse non troppo diversa da quella di Kurt Cobain, la voce dei Nirvana: si suicidò con un colpo di fucile in bocca. Anche lui ricorre nel testo di Medina, e val la pena di ricordare, per capire il mood globalizzato in atto, che Cobain è al centro di Un amore dell’altro mondo, l’ultimo romanzo dell’italiano Tommaso Pincio, scrittore che tiene sempre molto presenti gli umori e le realtà dell’America naturalmente del Nord. Il fenomeno non è affatto isolato. A seppellire il realismo magico e la sua fantasia paradisiaca e pauperistica del Sud America ci sono i racconti di Medina Reyes come quelli dei cileni Alberto Fuguet e Sergio Gomez, o dell’argentino Rodrigo Fresán (di cui è uscito in italia Esperanto da Einaudi) o del messicano David Toscana o ancora del boliviano Paz Soldán , del cubano Yoss (i suoi Sette peccati nazionali pubblicati da Besa è nelle nostre librerie) e di molti altri. Per capire il mondo e gli uomini, ci dicono questi nuovi autori, serve più parlare di cocacola, delle chips comprate a un McDonald, di un ragazzo proteso a inventare come sbarcare un amore o una giornata che scrivere per dieci pagine di seguito di un’esplosione di lucciole luminose e strabilianti. L’ondata si manifestò nel '96 con un’antologia di racconti intitolata McOndo, una raccolta che odora di hamburger Mic Mac, hot dog, computer Macintosh e come suggerisce Newsweek (che ha ufficialmente celebrato la new generation sudamericana poche settimane fa) di condom. Il libro era pensato proprio da Fuguet e Gomez: i due lanciarono provocatoriamente il volume in un party tenuto in un McDonald di Santiago. I racconti erano aggressivi, spaccati di vita urbana ritmati da sesso, droga e pop music.
La critica non li accolse bene: li trattarono come autorispazzatura da un lato, come apologeti dell’alienazione yuppie dall’altro. Il titolo McOndo (uno sberleffo a Garcia Márquez ma anche a tutti i suoi innumerevoli epigoni) raccoglieva 18 autori tutti under 35. «Era un tentativo parziale e molto arbitrario, ma segnalava felicemente un disagio e una tendenza importanti», inquadra il fenomeno Danilo Manera, professore di letteratura in lingua spagnola all’università di Milano, «il disagio è quello di essere considerati scrittori sudamericani (cioè fruibili al pari dell’ondata di musica salsa) solo se ci si adatta al modello del cocktail tropicale sensualitàdittaturaribellismo alla Gárcia Márquez, alla Isabel Allende, alla Luís Sepulveda. Quello che McOndo vuol fare è invece uccidere i padri, i maestri, e anche superare il tema dell’identità collettiva per quello dell’identità personale, passare dal mondo rurale a quello urbano, dalle saghe a sfondo sociopolitico alle esperienze del singolo». Niente sombrero, niente indigenismo, niente utopismo come piacciono a certo pubblico europeo terzomondista. Qui la cultura è «meticcia e bastarda, globalizzata e complessa, fa propri temi e modi riconoscibili a ogni latitudine, ritrae la realtà contemporanea» e ci pensa su.
Per il professor Manera, Efraim Medina Reyes, il cui romanzo successivo si intitola Tecniche di masturbazione tra Batman e Robin, è lo scrittore che meglio incarna questa visione provocatoria e innovativa. «Il suo C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo, diventato subito oggetto di culto in Colombia e fuori, è il testo più significativo di questa generazione latino americana: è un romanzo egocentrico, lacerato e ruvido, sostenuto dal rock più duro, prodigo di colpi bassi d’umorismo e disperazione alla maniera di Bukowski (peraltro citato continuamente) ma anche di smodati sussulti di comicità e tenerezza». Il plot vede il protagonista in una continua ansia di liberazione, deciso a cominciare una nuova vita, dimenticare «una certa ragazza» che lo ha lasciato e si è messa con un «pidocchio» conformista, perdersi nella vita della città, mettere in piedi un film, facendo nel frattempo i conti con i suoi miti, l’amore devastante di Sid Vicious e il caos interiore di Kurt Cobain. Ecco ancora Manera: «Polemicamente Efraim Medina si dichiara "scrittore newyorkese nato a Cartagena e nel retrofrontespizio del libro in spagnolo dice che il romanzo è la traduzione di un originale inglese. Si pone dunque fuori da ogni caratterizzazione localista, folkloristica, politicosociale. La vicenda, ripeto, potrebbe svolgersi dovunque».
Dovunque, ma intorno, in alcuni incisi, ogni tanto scoppia una bomba o crolla un palazzo per un attentato: il terrorismo delle Farc, i suoi scontri con l’esercito, le violenze dei paramilitari realtà che solo negli ultimi due mesi hanno fatto circa duecento morti soprattutto tra i civili non spariscono, ma certo né questi né il narcotraffico vogliono essere il centro del lavoro di Efraim (e possiamo dire anche degli altri compagni di strada). Medina non risparmia frecciate al curaro esplicite contro i padri letterari e storici. Manera: «Mi viene in mente un punto dove dice che Steve McQueen è più importante nella sua vita di Simón Bolivar. Oltre a Márquez (tutti lo conoscono, scrive, ma nessuno lo legge più) i suoi bersagli sono il colombiano Alvaro Mutis, il peruviano Vargas Llosa. E anche i loro continuatori appoggiati dall’establishment economicoculturale come Juan Carlos Botero, figlio del noto artista. Sì, io credo che la Colombia con le sue forti contraddizioni, sia territorio privilegiato per la nascita di nuove forme di espressione.
Accanto a Efraim Medina, indicherei almeno Orlando Mejía, Octavio Escobar, Esteban Carlos Mejía, Héctor Abad. Le storie di questi giovani parlano in modo scanzonato e arrabbiato di una quotidianità squinternata, di una tenerezza che sconfina nella paura di anonimi scenari gonfi di suoni e rumori, consumi e angosce, odori e crudeltà. E rifuggono dalle ideologie sbandierate. Come dice Rep: "Non ho sentimenti o ideali profondi. Voglio solo lavarmi i denti e sperare che non mi caschino"». Fuguet su ‟Newsweek” ha dichiarato, alla barba di tutte le grida di allarme sulla globalizzazione, che McOndo è nato dalla fine delle frontiere, dal mischiarsi di tutto. «In inglese mi sento più libero, come se avessi 8 anni». L’esperienza non è solo letteraria. I latinoamericani vivono ormai in un ambiente affollato e urbanizzato, non nel sognante esotico continente dipinto dal realismo magico. E infatti l’esperienza è emigrata anche sul versante degli altri media: è diventata cinema messicano con Amores Perros di Alejandro Gonzáles Inárritu nominato per gli Oscar, o con Y Tu Mamá Tambien ambedue ambientati in un Messico disadorno e senza un briciolo di folklore. Quanto riescono ad uscire dalla lingua spagnola? Poco, ma finalmente questo settembre debutteranno sul mercato internazionale quando Penguin pubblicherà una raccolta di racconti senza iguana in copertina intitolato A Whistler in the Nightworld, senz’altro più vicino a Manhattan che a Macondo.

C'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo di Efraim Medina Reyes

Un romanzo egocentrico, disordinato, eclettico, rabbioso. Rep è una specie di eroe perseguitato dal destino, in fuga dalla realtà immobile di Cartagena. Vuole cominciare una nuova vita, non importa quale, ma intanto vuole dimenticare la ragazza che lo ha lasciato (e qui si innesta l'evocazione dell…