Marco D'Eramo: Presidenziali USA. Una Convention in famiglia

08 Settembre 2008
Se ci avessero dato un dollaro per ogni volta che alla Convention democratica sono state finora pronunciate la parola «valore» e «valori», il manifesto non sarebbe più in cattive acque e avrebbe risolto tutte le sue difficoltà economiche. I pezzi forti della giornata di apertura hanno infatti confermato le previsioni di una Convention sulla difensiva, tutta tesa a sottolineare la propria conformità, medietà e devozione ai principi del sogno americano. Con alcuni effetti paradossali e persino comici. È stato certo commovente l'intervento dell'anziano senatore del Massachusetts, Ted Kennedy, giunto qui contro il parere dei medici che lo curano per un grave tumore al cervello. E le sue parole sulla nuova generazione che deve raccogliere il testimone sono state accolte da un applauso da far crollare il soffitto. Ma faceva curioso che a introdurle fosse la nipote, Caroline, unica figlia superstite del presidente John, che presentava un video sullo zio che a tutti gli effetti equivaleva a una commemorazione postuma del Kennedy che avrebbe poi preso la parola, assai vivo.
Ma se questi richiami familiari sono comprensibili nel caso di un clan eccezionale come i Kennedy, l'ossessione della parentela assurge a vette di comicità insuperabile quando si applica a casati più ordinari. E però è quasi un obbligo che nella Convention ogni oratore di peso sia presentato da un parente.
Così è avvenuto alla senatrice del Missouri Claire MCCaskill, presentata dal suo figlio adolescente Austin, attorniato dalle due bionde sorelline silenti. Austin la presa da lontano, dalla bisnonna Mildred, per arrivare al nonno, e alla nonna Mimi, prima di giungere a mammina (mom): e la stessa Caskill non ci ha risparmiato il racconto della vita del marito che ha avviato con successo una piccola impresa.
Ma dove questo familismo scatenato ha raggiunto il suo parossismo, è stato con il discorso di Michelle, la moglie di Barack Obama. Per un europeo è già balzano che il pezzo forte della giornata d'apertura d'un congresso di partito sia quello della moglie del leader che racconta come è cresciuta, come era papà, come era mamma, i fratelli, come ha incontrato il marito («la prima cosa che ho notato era il suo buffo nome, però era molto bello»). Come se non bastasse quest'attacco di moglismo acuto, il discorso di Michelle è stato preceduto innanzitutto da un video in cui ce l'hanno mostrata da piccola con paparino, mammina, fratellini, e poi, come ciliegina sulla torta, dal discorso del fratello maggiore di Michelle, Craig Robinson.
Insomma, in nome della fede nei valori familiari, abbiamo avuto diritto a una spataffiata non solo sulla moglie e le figliolette (comparse alla fine del discorso), ma anche sulla suocera, sul suocero, e persino a un lungo discorso del cognato. Ci mancavano i cugini di secondo grado e la zia della cognata. Quando in videoconferenza è intervenuto Barack Obama da Kansas City a chiacchierare con le figlie, davvero il personale è diventato politico, secondo uno dei più celebri slogan del '68, perché rivolgendosi alla platea, Barack ha detto: «Adesso capite perché ho chiesto la sua mano sentendomela rifiutare tante volte: avete bisogno di un presidente ostinato».
Ma è stato proprio l'articolato, curatissimo, discorso dell'aspirante First Lady a dare il segno del difensivismo dominante in questa Convention.
Si vedeva che l'aveva provato molte volte (nelle Conventions le mattinate sono consacrate alle prove sul podio dei vari discorsi, al loro minutaggio perché non sforino, agli effetti di luce). La recitazione era molto lavorata. Ma in realtà il messaggio era molto semplice, e ripetuto ossessivamente per decine di volte: «Vedete, io e Obama siamo proprio come voi, statunitensi medi, di classe media, con preoccupazioni medie, crediamo ai valori medi».
In questo senso la sua è stata una performance eccellente sì, ma difensiva, tesa a smontare l'accusa secondo cui suo marito non è in contatto con la gente comune, sia per il suo background (figlio di una madre bianca e single, concepito alle Hawaii con un genitore keniota subito scomparso nel nulla, educato in Indonesia), sia perché avvocato di Harvard, cioè della più prestigiosa università Usa, che subito lo marchia come elitista.
Si noti che anche l'attuale presidente uscente, George Bush, è diplomato in una prestigiosa università, Yale, ma questo non lo ha mai fatto diventare un elitario, sia perché in ogni caso è un asino, sia perché non ha mai ostentato il suo curriculum, non ha mai sbandierato la sua Yale come invece ha fatto Obama con Harvard. Ma il troppo insistito messaggio «Noi siamo tali e quali a voi» può avere un effetto boomerang, proprio come qualcuno che dice «Io ho molti amici neri», frase che precede sempre opinioni razziste.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …