Giuliana Sgrena: Galera con abusi per piccoli iracheni

12 Settembre 2008
Il famigerato carcere di Abu Ghraib sarà trasformato in un museo per ricordare gli orrori di Saddam Hussein, ha annunciato il governo di Baghdad. Forse potrebbe servire a ricordare anche gli orrori commessi da chi ha abbattuto Saddam e le cui immagini sono ancora presenti nella nostra memoria. Gli orrori di Saddam sono meno documentati, tranne che nel ritrovamento delle vittime. Ma gli orrori in Iraq non sono terminati con Abu Ghraib: gli abusi sessuali e i maltrattamenti sono all'ordine del giorno nelle carceri. Spesso le guardie portano i ragazzi in una stanza isolata della prigione e li stuprano. A raccontare la terribile esperienza è Omar Ali, 16 anni, che ha passato oltre tre anni nel carcere minorile di al Karkh a Baghdad. Omar mostra le piaghe sulla pelle che, come molti altri detenuti, ha contratto giacendo per notti e notti su materassi sottili e inzuppati di sudore.
La testimonianza è stata pubblicata dal quotidiano britannico The Guardian, che ha illustrato l'agghiacciante situazione del carcere minorile dove sono detenuti, in celle sovraffollate, centinaia di bambini, alcuni dei quali di appena nove anni. La temperatura a Baghdad nei giorni scorsi si aggirava intorno ai 44 gradi di giorno e 38 di notte e nelle celle non ci sono ventilatori in funzione: l'elettricità è fornita da un generatore che viene acceso solo per due-tre ore la sera e una volta la settimana per due ore, in coincidenza con la visita dei parenti. ‟Siamo convinti che le guardie vendano il combustibile destinato al generatore al mercato nero”, aggiunge Omar. In un paese che galleggia sul petrolio e dove la gente è costretta a ricorrere al mercato nero per comprare la benzina e il petrolio tutto è possibile. Non è questo l'unico business messo in piedi dalle guardie del carcere. Arrotondano il salario prestando i cellulari ai detenuti per telefonare a casa, in cambio i genitori devono ricaricare le schede con 10 o 20 dollari. Anche l'acqua scarseggia nel quartiere di al Khark - se non c'è elettricità non arriva nemmeno l'acqua - e i detenuti - racconta - possono farsi una doccia solo una volta ogni tre giorni. I prigionieri dormono in quattro dormitori di 5 metri per 10, in ognuno dei quali sono stipati 75 giovani, in condizioni disumane. La capacità del carcere è di 250 posti mentre i detenuti sono 315. Sebbene si tratti di giovani condannati, i processi che hanno emesso la sentenza non hanno mai rispettato gli standard internazionali: non vengono ammessi testimoni, gli avvocati d'ufficio ricevono il dossier lo stesso giorno del processo e non hanno possibilità di parlare con l'imputato.
La condanna avviene sulla base di confessioni estorte con la violenza. Per ottenere queste confessioni le guadie picchiano e torturano i giovani nei primi giorni di detenzione per costringerli a mettere la firma, o l'impronta digitale, su un foglio bianco che poi verrà riempito con le accuse che convengono agli accusatori. Anche in questo caso spesso di tratta di una persecuzione di tipo ‟confessionale”: sciiti al governo contro sunniti. La testimonianza di Omar ne è una dimostrazione: arrestato tre anni fa, quando aveva 13 anni insieme al fratello di un anno più vecchio di lui durante un raid delle forze speciali nel suo quartiere, sunnita. Una settimana dopo avrebbero arrestato anche il padre. Sono ancora tutti e tre in carcere. Il ministero degli interni è nelle mani degli sciiti e prende di mira i sunniti, peraltro, dopo la ‟pulizia etnica” che ha separato in buona parte sunniti da sciiti, a seconda della maggioranza presente nel quartiere, le spedizioni punitive sono mirate. In un'altra testimonianza raccolta dal quotidiano britannico, Raad Jamal, 17 anni, racconta di quando le forze Usa hanno fatto irruzione, lo scorso giugno, nella sua casa, nel quartiere meridionale di al Dora, a Baghdad. La madre di Raad ha raccontato a The Guardian che ‟durante il raid Usa un ufficiale americano ha detto a mia figlia: 'di a tuo fratello di confessare che sta con al Qaida così lo possiamo mandare a Camp Bucca (un carcere usa nel sud dell'Iraq, vicino a Bassora) altrimenti lo consegneremo agli iracheni e lo tortureranno'‟.
Raad e un amico sono stati portati in una base Usa e il giorno dopo trasferiti alla settima brigata del secondo reggimento dell'esercito iracheno. Raad e l'amico, racconta il ragazzo, vennero appesi al soffitto con corde, picchiati con fili elettrici, e poi interrogati uno alla volta. Raad è stato poi mandato in un'altra base irachena: ‟sono rimasto lì sei mesi. Non ho confessato nulla che non abbia fatto. Ma loro scrivono false dichiarazioni e ti chiedono di mettere l'impronta del pollice. Io mi sono rifiutato ma loro mi hanno costretto”. Fortunatamente al processo Raad ha incontrato un giudice coscienzioso che non ha accreditato le sue confessioni. ‟Ha detto che ero innocente ma che per ragioni amministrative avrei dovuto andare a Tobchi finché non mi avessero liberato”. Dopo alcuni mesi, lo scorso marzo, è uscito dal carcere. Anche il centro di detenzione di Tobchi è sovraffollato: quando è stato visitato da una delegazione dell'Unami (la missione Onu in Iraq) ospitava il doppio dei detenuti previsti (200), così che i ragazzi erano costretti a dividersi il letto o a fare turni per dormire. Quella della detenzione amministrativa è un altro abuso praticato dalle forze di occupazione, anche nei confronti dei minorenni. Secondo la risoluzione dell'Onu 1546 e le seguenti, gli Stati uniti sono autorizzati a detenere iracheni per ‟imperative ragioni di sicurezza” ma questo non li autorizza a detenere persone senza un processo e senza il rispetto dei diritti umani. Secondo la convenzione di Ginevra i detenuti dovrebbero essere portati subito davanti a un giudice per un processo con il rispetto degli standard internazionali. Invece sono migliaia i detenuti trattenuti per sei mesi senza processo, detenzione amministrativa per l'appunto.
A maggior ragione questi diritti dovrebbero essere garantiti ai minorenni. Dal 2003, gli Usa hanno arrestato 2.400 minorenni in Iraq, compresi bambini di 10 anni. Gli arresti sono aumentati drasticamente nel 2007: circa 100 bambini al mese contro i 25 del 2006. La maggior parte sono detenuti a Camp Cropper, a Baghdad, ma alcuni sono stati mandati a Camp Bucca, a Bassora. I minorenni sono separati dagli adulti ma non c'è nessuna cura speciale per i più piccoli. All'inizio del 2007, un ragazzo di 17 anni è stato strangolato da un altro detenuto a Camp Cropper. Non c'è nessuna differenza di trattamento tra adulti e minori detenuti dagli americani: possono essere interrogati per giorni o settimane dalle unità militari nei campi prima di essere mandati ai centri di detenzione. Questi bambini non hanno diritto ad un avvocato - secondo quanto confermato da un ufficiale Usa all'organizzazione per i diritti umani Human rights watch (Hrw) - e non possono fare ricorso. Inoltre hanno pochi contatti con le famiglie. Un militare ‟difensore” cui viene affidato ogni bambino deve rivedere la situazione dopo sei mesi di detenzione, pur non avendo nessuna esperienza di giustizia minorile o nozione sullo sviluppo dei bambini. Secondo Hrw il periodo medio di detenzione dei bambini da parte delle forze Usa è superiore ai 130 giorni, alcuni sono stati in carcere più di un anno senza processo. ‟La maggior parte dei bambini detenuti in Iraq languono per mesi sotto la custodia Usa”, sostiene Clarisa Bencomo, ricercatrice che si occupa dei minori in Medio oriente per Hrw. E aggiunge: ‟Gli Usa dovrebbero garantire l'assistenza di un avvocato e la revisione dello stato di detenzione da parte di un organismo indipendente”. Al 12 maggio 2008 la forza multinazionale ha riferito di aver ridotto il numero di bambini detenuti a 513, senza specificare dove erano finiti gli altri. E se sono finiti nelle carceri irachene non godono certo di migliori condizioni e sono a rischio di abuso fisico, sostiene l'Unami. E la testimonianza di Omar lo conferma.

Giuliana Sgrena

Giuliana Sgrena, inviata de ‟il manifesto”, negli ultimi anni ha seguito l'evolversi di sanguinosi conflitti, in particolare in Somalia, Palestina, Afghanistan, oltre alla drammatica situazione in Algeria. Negli ultimi due …