Marco D'Eramo: G8. Uno stanco rituale

09 Luglio 2009
Se continua così, quando un leone scapperà dallo zoo di Pechino, noi italiani saremo indotti a chiederci con ansia: ‟Ma per Berlusconi questa notizia è buona o cattiva?”. È infatti straordinario come ci si possa scannare, insultare, ghignare su temi ineffabili quanto il sesso degli angeli (chiacchierato almeno quanto quello del nostro anziano premier).
Già di per sé infatti il G8 è un involucro vuoto, obsoleto residuo di un passato coloniale, che non corrisponde alla scala di potere del pianeta dove nulla può essere deciso senza Cina, India, Brasile.
I leader europei più realisti lo sanno benissimo e la cancelliera tedesca Angela Merkel propone da mesi di eliminare il G8 e riversare tutte le discussioni nel G20, dotandolo di poteri decisionali. Già ora il G8 rispecchia solo nelle forme e solo nel primo giorno il numero 8 (che è 2 al cubo), mentre già da tempo gli osservatori internazionali sostengono che in realtà quel che conta è il G2, cioè il vertice tra Usa e Cina.
Ma c'è di più: questo stanco rituale non riesce a conseguire neanche gli obiettivi che si era prefisso. E i leader delle grandi potenze, gli uomini ‟più potenti del mondo”, alzano inermi bandiera bianca sul tema del riscaldamento globale e aspettano fatalisti la catastrofe ambientale prossima ventura. Ci ammanniranno certo le buone parole che concludono tutti i vertici di questa terra: non ci saranno risparmiati commossi impegni di aiuto al Terzo mondo (che, se avesse ricevuto un centesimo per ogni promessa sbandierata, nuoterebbe ormai nell'oro). Sulla crisi ci diranno che stiamo sulla buona via, il peggio è passato, ma il meglio ancora non si vede e ci aspettano ancora lacrime e sangue. Ma niente paura: il lieto fine trionferà. Le decine (forse centinaia) di milioni di disoccupati provocati dalla recessione sono una triste fatalità, come le tendopoli sulla piana di Novelli.
A questa doppia vacuità, per quanto ci riguarda, si sovrappone la patetica irrilevanza della vecchia preoccupazione che da sempre domina la commedia all'italiana e che Alberto Sordi così formulava: ‟Ma che figura ci faremo con gli stranieri?”. Con tutti a disquisire sui comunicati della delegazione Usa, sulle singole parole del presidente Barack Obama, persino sulle biografie distribuite dall'Ufficio stampa della Casa bianca.
A confronto, i capziosi sofismi dei retori della Magna Grecia ci paiono di una concretezza brutale: l'apprezzamento (di prammatica) degli Usa per l'Italia - paese ospitante - sarà o no una ‟stampella per Berlusconi”? Al contrario, la stringata biografia (7 righe) del nostro ineffabile primo ministro sarà invece una ‟sconfessione velata” (in confronto alle tre pagine dedicate al presidente Giorgio Napoletano)?
L'unico aspetto davvero evocativo di questo vertice aquilano è quindi quello metaforico: se la crisi ha colpito il pianeta come il terremoto ha devastato l'Abruzzo, allora siamo tutti sfollati della recessione e possiamo tutti fare nostra l'incontrovertibile affermazione: ‟Yes, we camp”.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …