Gianni Riotta: L' utopia del Cerutti
03 Gennaio 2003
"Roma mi spaventa. Una volta dovevo restare per due ore in città e mi
infilai in un cinema da solo. Poco dopo un bisbiglio alle spalle, "Gaber!
Gaber!". Mi volto: era Enzo Jannacci, anche lui milanese, solo e spaventato
a Roma... ma a Milano è quasi peggio. C' è silenzio, paura, solitudine e
eroina". Così Giorgio Gaber mi presentò lo spettacolo "Io se fossi
Dio", in una Milano del 1980, grigia, violenta, coraggiosa. Si mise alla
chitarra in una grande stanza della sua casa, guardandomi in volto: "Io se
fossi Dio, maledirei tutti i giornalisti e specialmente tutti, che certamente
non son brave persone e dove cogli, cogli sempre bene"... "...Compagni
giornalisti avete troppa sete, e non sapete approfittare delle libertà che
avete, avete la libertà di pensare ma quello non lo fate e in cambio pretendete
la libertà di scrivere... in questa Italia piena di sgomento... vi buttate
senza tremare un momento: cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti... vi
buttate sul disastro umano con gusto della lacrima in primo piano...". E
nel caso io, cronista con in tasca le foto dei santi patroni Woodward e
Bernstein del caso Watergate, non avessi capito, prese uno dei grandi nastri
registrati di allora e risuonò l'invettiva. Gaber imprecava contro le Brigate
rosse, che torturavano la gente perbene contando sull'omertà di certi
intellettuali, ma definiva il martire Aldo Moro "insieme alla Dc il
responsabile di venti anni di cancrena italiana". Il Partito comunista lo
liquidò, "qualunquista" e i suoi eredi pronosticarono "se
continua così arriverà a scrivere l'inno per il movimento berlusconiano di
Forza Italia". Livio Zanetti, direttore de L'Espresso, decise nel 1981 di
regalare ai lettori il disco censurato in Rai, "Io se fossi Dio", e il
critico Enzo Golino battezzò Gaber "l'Adorno del Giambellino":
critico dei media come il filosofo della Scuola di Francoforte, ma ironico e
allegro come il Cerutti Gino della ballata 1961. La radicalità della
riflessione sociale di Gaber vive in due umori: la violenta prosa contro
l'Italia dei consumi, della Dc, Pci e Psi, degli extraparlamentari truculenti
coesiste con la gentilezza d'animo di "Non arrossire quando ti
guardo", "Suono il clacson scendi giù...", "Quasi quasi mi
faccio uno shampoo...". Finì elogiato da Comunione e Liberazione,
collaboratore di don Giussani e idolatrato dal periodico cattolico di sinistra
Com nuovi tempi. Il foglio underground milanese Re nudo, coerente, lo adorò
dagli anni 70 a oggi. Giuliano Zincon e lo vide cantore "dei cani
sciolti", Nico Orengo "padre del riflusso". Gaber aveva davvero
letto "io, ex cantautore, che parola ridicola!" i Minima Moralia di
Adorno, seguiva al cinema il regista tedesco Fassbinder "amo il
"Matrimonio di Maria Braun"", conosceva non ad orecchio,
l'antipsichiatria di Cooper e Laing, "Vuoi affibbiarmi dei riferimenti?
Parla di Dario Fo e Beckett", e chi avrebbe allora detto che avrebbero
condiviso il Nobel? Di politica, la politica che gli diede addosso e lo adulò,
riconosceva di non capire molto e lo sorpresero sempre gli attacchi trasversali
alla moglie Ombretta Colli, esponente di Forza Italia. "Agli inizi degli
anni '60 eravamo sfigati, un periodo bellissimo e orrendo, a 24 anni la casa
discografica mi disse, grazie sei troppo vecchio. C'erano Bindi, Paoli,
Jannacci, Endrigo, ma solo Luigi Tenco capiva di politica, era comunista, poi
un'ansia oscura lo attrasse a Roma, all'angoscia". Gaber non si sarebbe mai
seduto in Parlamento come l'onorevo le Gino Paoli, in ordine alfabetico tra gli
indipendenti di sinistra, troppo timido, troppo arrabbiato. Voleva ascoltare
l'Italia "dal brusio, che studio con il mio collaboratore Sandro Luporini,
il brusio che esce dalla gente. Tu vai in giro, lo raccogli, filtri".
"Qualunquista e intimista" gli urlò un duro di quelli che Guccini
chiamava "militanti severi". Era piuttosto un italiano qualunque, e lo
ascoltarono in tre generazioni. Non era intimista, era intimo, in un Paese
caciarone di cui infine smarrì il filo. Godeva dei successi della figlia Dalia,
e sorrideva perplesso quando un vecchio fan gli spiegava compunto che il Cerutti
Gino, con la sua denuncia del boom economico '60, era una ballata politica al
pari del brano contro Moro: "Nonostante tutto credo nell'utopia della
politica come indagine della realtà. Giù, in fondo".
Gianni Riotta
Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …