Marco D’Eramo: Pellegrini per caso

02 Settembre 2003
Guidando sulle strade dei Pirenei, di Navarra e dei Paesi Baschi s’incrocia spesso un segnale triangolare, bordato di rosso, simili a quelli che portano disegnata la silhouette di un cervo o di un cinghiale, per avvertire che questi animali possono traversare all’improvviso la strada. Solo che qui l’ombra cinese è quella di un viandante con un cappello a tesa larga, un fardello sulle spalle, una mantella, un bastone alto e dall’impugnatura ricurva. Sotto il segnale stradale, la scritta: "Peligro. Peregrinos andando". Dal di fuori può sembrare balzano che un pio pellegrino venga paragonato a cervidi o suini, ma non qui dove l‘ombra di San Giacomo domina il paesaggio per centinaia di chilometri.
Perché nel terzo millennio, nell’era del computer e della New Economy, ancora oggi quest’area nel nord della Spagna è letteralmente cosparsa di varianti del "Cammino di Santiago di Compostela", il più famoso luogo di pellegrinaggio europeo fuori dall’Italia (Santiago in spagnolo vuol dire appunto San Giacomo). Un pellegrinaggio che nel ‘900 era andato progressivamente spegnendosi: era celebrato solo dal generalissimo Francisco Franco che capeggiava i pellegrini davanti alla Cattedrale di San Giacomo per presentare l’offrenda nacional, particolarmente negli anni giubilari del santuario (che cadono ogni sette anni), soprattutto nell’anno Santo del 1965, quando la rivista dell’Archicofradía, Compostela, contò 109.000 pellegrini. Il fondo fu toccato negli anni ’70, quando solo una manciata di persone intraprese il cammino: nell’introduzione a The Pilgrimage to Santiago De Compostela in Middle Ages, Maryanne Dunn e Linda Davidson, le maggiori specialiste nel campo, dicono che nel 1979 i pellegrini furono in tutto e per tutto circa 70. Ma dagli anni ’80, questo rito antico sta invece risorgendo dalle sue ceneri, soprattutto dopo le Giornate mondiali della Gioventù del 1989 che il pontefice Karol Wojtyla celebrò proprio a Compostela. Secondo Dunn e Davidson, nel 1993 i pellegrini furono di nuovo 99.000, e il loro numero sta crescendo, almeno a stare alle cifre fornite dal quotidiano francese Le Monde che ha mandato un inviato a Le Puy-en-Velay (Alta Loira), il punto di partenza della più famosa delle quattro vie che portano a Compostela, la via podiensis (le altre tre vie partono da Parigi, Arles e Vézeley), che comporta 1.600 km da percorrere in 50-60 giorni di marcia a seconda del passo. A Puy-en Velay i pellegrini partecipano a una messa e poi in sacrestia si fanno timbrare un libretto color pergamena che costituisce una sorta di lasciapassare del pellegrino, ma anche l’attestato che ha percorso tutte le tappe. Ora, i timbri erano 2.532 nel 1999, sono diventati 5.725 nel 2002 e quest’anno dovrebbero raggiungere i 6.500, tanto che il quotidiano El Pais ha lanciato l’allarme, dicendo che il Cammino di Compostela sta andando in crisi per l’eccessivo afflusso di pellegrini.
Il pellegrinaggio di Compostela è ormai unico al mondo, perché nell’era del trasporto veloce – auto, jet, treno, corriera – è l’unico fedele all’idea originale. Vi sono altre mete certo più frequentate: basti pensare ai milioni di persone che ogni anno nell’Islam compiono l’hagi, il pellegrinaggio alla Mecca, o ai milioni di "pellegrini" giunti a Roma per l’anno santo, o i 6-7 milioni di persone che ogni anno si recano a San Giovanni Rotondo nel Gargano a venerare Francesco Forgione, detto Padre Pio. Ma tutti costoro si fanno portare nel "luogo santo". Il pellegrinaggio perde così la sua prima ragione di essere, che era quella di un’espiazione e di un’intercessione grazie allo sforzo dell’andare. Peregrinus in latino vuol dire "lo straniero" (proprio nel senso di Albert Camus), colui che non appartiene al luogo in cui transita. Nel pellegrinaggio, l’andare è molto più importante della meta verso cui si dirige: hagi significa anche "dirigersi verso" la casa di dio in terra, mentre il termine indiano tirtha trae origine dal "guado" e dal bagno purificatore, e il giapponese henro è "camminamento" (notizie tratte dalla lunga voce "Pèlerinages et lieux sacrés" dell’Encyclopaedia Universalis). Nel Medioevo il pellegrinaggio era comminato come punizione di qualche peccato, e più grave era il peccato, più lontana era la meta. Il pellegrino alla Mecca si guadagnava il titolo di hagi, di "santo" grazie ai disagi affrontati per raggiungere la Kaaba dall’Atlantico e dal Pacifico. I ricchi notabili medievali pagavano qualcuno che pellegrinasse al posto loro, un po’ come nell’800 i giovani abbienti si facevano sostituire – pagando un sostituto – nel servizio di leva obbligatorio. Il perdono o l’intercessione divina sono "pagati" dallo sforzo, dai disagi, dai pericoli corsi dai pellegrini.
È incredibile come questa pratica sia diffusa in quasi tutte le religioni del mondo (con una sola, notevole eccezione). Gli antichi greci si recavano a Delfi; gli ebrei vanno al muro del Pianto; gli hindu si affollano innumerevoli santuari, oltre che naturalmente Varanasi (Benares) sul Gange; a Ceylon le folle si dirigono verso il Tempio del Dente a Kandy, e in Birmania vanno alla Pagoda Shwe Dagon di Rangoon; i buddisti giapponesi vanno a Kamamura e Nara; quelli cinesi a Mont Omei in Szechan ad adorare di Bodhisattva Samantabhadra. Personalmente ricordo il tempio Famen ricostruito nel 1982, nello Shaanxi, a 115 km a ovest di Xi'an, l'antica capitale imperiale. Durante gli scavi per la ricostruzione, da una sottostante cripta di epoca Tang sono riemersi più di 1.000 oggetti sacrificali compresi manufatti d'argento e tavolette di pietra con scritture buddiste, 27.000 monete e, audite, audite, ben quattro sacre falangi (note come sarira) del Buddha che anch'io intravisto nella calca dei fedeli. Come davanti a Loreto e a Fatima, il pellegrinaggio produce a Famen la sua industria, fa aprire ristoranti, bancarelle di souvenir, di santini e di bibite le cui lattine vuote cospargono l'asfalto.
Ma certo è che nessuna religione ha prodotto pellegrinaggi quanto il cattolicesimo. Alla rinfusa, e solo tra i più frequentati "luoghi sacri": in Italia il Volto santo a Lucca; S. Francesco e la Porziuncola ad Assisi; Sant’Antonio a Padova, la Casa Santa a Loreto, oltre naturalmente Roma e, di recente, San Giovanni Rotondo; in Portogallo Fatima; in Francia la tomba di San Martino a Tours, il Monte Saint Michel, il tempio di Maria a Le Puy, dopo il 1200 la testa di Giovanni Battista ad Amiens, nei tempi moderni Lourdes e Lisieux (Santa Teresa); in Belgio la fiala del Sacro Sangue a Bruges; in Germania la "vera" tomba di San Bonifacio a Fulda; le reliquie della sacra veste a Treviri e quelle dei re magi a Colonia; in Inghilterra le reliquie di San Cuthbert a Durham e la tomba di Tommaso Becket a Canterbury; in Irlanda la tomba di San Patrizio; in Polonia l’icona della Vergine di Czestochowa (dopo il 1.200); e troppo lungo sarebbe enumerare i luoghi di pellegrinaggio in America Latina.
Come si vede la terra è costellata di punti in cui il divino è più vicino all’umano, un po’ come per i greci c’erano sorgenti sacre, sacre querce, monti sacri. Ricordo il primo impatto di Bali, quando, appena arrivato, il tassista si fermò per fare un’offerta a un albero, e pregarlo. Si capisce perché per la riforma protestante i pellegrinaggi siano stati uno dei tratti che accomunavano il papismo all’idolatria pagana, con questo culto delle unghie del santo, dei calli della beata, questa convinzione delle doti salvifiche del capello di un apostolo. Così già nella Confessione di Augusta, redatta da Melantone, approvata da Martin Lutero e presentata nella dieta del 1501, il pellegrinaggio è annoverato tra "le azioni inutili e infantili": in fondo, il mercato delle indulgenze – la scintilla che scatenò la Riforma – non faceva altro che chiedere soldi in cambio di pellegrinaggi. Il protestantesimo è perciò forse l’unica religione al mondo che non contempli luoghi sacri particolari (l’altare di dio è nell’anima di ciascuno di noi) da raggiungere con sudore, fatica e dispendio.
E certo è che tra tutti i pellegrinaggi, Santiago de Compostela è quello che più offre il fianco alle critiche di Melantone. In fondo i pellegrini che andavano a Gerusalemme si recavano sul colle dove Gesù aveva subito la crocifissione, i romei andavano a venerare gli apostoli Pietro e Paolo, martirizzati a Roma. Ma perché Compostela, in un angolo sperduto del nord della Spagna? L’apostolo San Giacomo Maggiore (San Giacomo minore sarebbe il fratello di Gesù) era stato decapitato a Gerusalemme qualche anno dopo la crocifissione (Atti degli apostoli, 12, 2): perché venerarlo all’altro capo del Mediterraneo? Il perché sta in una prodigiosa "invenzione della tradizione" nell’alto Medioevo. Fino al VI secolo, San Giacomo maggiore resta bello tranquillo sepolto a Gerusalemme. Nel VII secolo comincia invece a diffondersi la voce che la sua salma fosse stato portato in Spagna che egli avrebbe in precedenza evangelizzato (?). Finché fu solo tra l’VIII e il IX secolo che la tomba di San Giacomo è scoperta a Compostela.
Queste date vanno accostate con il sorgere e l’espandersi dell’Islam: è nel VII secolo, quando compare la leggenda del corpo traslato in Spagna, che nasce l’Islam, con l’egira che inizia nel 622. Nel 636 cade Gerusalemme, il grande luogo sacro della cristianità. Nell’VIII secolo la Spagna è ormai quasi tutta in mano musulmana, tranne un piccolo lembo di terra al Nord, vicino alla costa galiziana dell’Atlantico, appunto il regno delle Asturie (dove si trova Compostela). Ed è il re Alfonso II (791-842) che costruisce la prima basilica in terra sulla "tomba dell’apostolo": Alfonso III (866-910) la sostituirà con una basilica in pietra.
La diffusione del pellegrinaggio continuerà a intrecciarsi con il confronto tra cristianità e Islam. La basilica è distrutta nel 997 dal condottiero al Mansur, comandante del califfato di Cordova, che porta via le campane di Santiago, le fa fondere perché diventino i lumi a olio della grande moschea di Cordoba. E la costruzione dell’edificio attuale comincia nel 1078, quando sta iniziando appunto la reconquista (e nel 1099 Gerusalemme cade in mano ai guerrieri della prima crociata): per nemesi storica, quando nel 1236 Ferdinando III di Castiglia riconquisterà Cordoba, farà fondere le lampade della moschea e con questo bronzo rifabbricherà le campane a Santiago. Ma, tornando all’XI secolo, La basilica di Compostela riceve enorme impulso dalla riforma cluniacense e i benedettini vi fondano monasteri e case di accoglienza. È allora che il pellegrinaggio si diffonde. E, fatto straordinario, nel XII secolo il pellegrinaggio genera la prima guida turistica – in senso proprio – del mondo, La guida del pellegrino di San Giacomo di Compostela che descrive percorsi, tappe, ostelli, passaggi difficili (come le lande della Guascogna, deserto di uomini e terra che risucchia i passanti), sparla dei paesi baschi e della Navarra, ma fornisce un vocabolario elementare basco di "frasi utili". L’autore ha un’esperienza personale del viaggio: "Mentre procedevamo verso Santiago, trovammo due navarresi seduti sulle rive del rio Salado che stavano affilando i loro coltelli… Alle nostre domande risposero con una bugia dicendo che certo l’acqua era potabile … Perciò noi abbeverammo i cavalli nella corrente e subito due di loro morirono" (cap. VI: è disponibile una traduzione inglese del 1993).
Pellegrini vengono da tutta Europa: in Scandinavia vengono trovate molte tombe con incise il simbolo del santo, una capesanta (la conchiglia che è anche l’icona della Shell, e che in francese si chiama, appunto, coquille saint-jacques): nel ‘400 sono pubblicate molte memorie di pellegrini veneziani, francesi che raccontano le peripezie, gli incontri con briganti, i pericoli, i passi pirenaici.
Così oggi il moderno camino di Santiago è rimasto l’unico pellegrinaggio antico al mondo, in cui l’andare conta più dell’arrivo. In parte si è trasformato: è una via di mezzo tra trekking e turismo d’arte. C’è perfino chi lo fa a rate: 15 tappe un anno, 15 il successivo, e così via. Ma la rinascita di Compostela dice anche qualcosa di più profondo e (dal mio punto di vista) più preoccupante, ovvero che assistiamo a una controffensiva dell’"idolatria cattolica" (i retablos delle chiese spagnole evocano irresistibilmente i templi hindu), rispetto all’austerità del divino nella religione riformata. È in questo senso, e non solo dal punto di vista degli incidenti stradali, che ha un significato il motto del cartello stradale: "Pericolo: pellegrini in cammino".

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …