Gianni Riotta: Dietro quella festa di sangue i meticolosi registi del caos

08 Aprile 2004
Lo storico Hans Delbruck ha ricostruito la strategia di Scipione l' Africano per battere il leggendario condottiero cartaginese Annibale prima della battaglia di Zama-Naraggara, nel 202 avanti Cristo. Anziché assediare Utica e affrontare l' esercito nemico, come il Senato imponeva da Roma, Scipione si allontanò da Annibale, da Roma, volse le spalle al mare, fronteggiando il fiume Bagrada e la valle di Megreda, da cui Cartagine riceveva cibi e merci vitali. Scipione vinse, piegando il miglior tattico della storia, perché considerò la vita del nemico prima della sua morte. Si chiese come vivevano i cartaginesi, si immedesimò in loro e la sua lezione è ancora oggi studiata all' Accademia militare americana di West Point. La crudele giornata di ieri in Iraq prova che il comando americano, civile e militare, non riesce a riprodurre la manovra di Scipione insegnata ai cadetti. La battaglia per la vita degli iracheni non è ancora decisa e i ribelli, reduci dell' armata di Saddam Hussein e islamisti stranieri, intendono vincerla, spaventando l' opinione pubblica americana, già divisa dal difficile anno elettorale. Come osserva l' esperto militare Michael Gordon, i terroristi mimano la strategia americana in Iraq e occidentale in Afghanistan. Come i Paesi complici del terrorismo sono nemici della coalizione, così i Paesi, le istituzioni e gli individui impegnati contro Al Qaeda devono pagare. Gli strateghi del caos hanno colpito Onu, Croce Rossa, Spagna, Paesi arabi, civili iracheni e ieri hanno ucciso e poi fatto scempio dei cadaveri di quattro tecnici stranieri nella roccaforte sunnita di Falluja. Una telecamera dell' Associated Press ha ripreso un uomo che sventrava un cadavere con una spranga, altri che trascinavano i morti per i piedi. I resti carbonizzati sono poi stati fatti a brani, legati a pietre e lanciati sui cavi del telefono, sospesi da un ponte, calpestati da ragazzi e bambini, mentre i tassisti gridavano "Viva i mujaheddin, viva la resistenza!" e uno scolaro metteva il piede su un teschio annerito urlando "Dove sei Bush? Vieni qui a guardare!". Inceneriti un passaporto americano, un lasciapassare del Pentagono. Per la folla i quattro erano agenti della Cia. A Bagdad invece cinque i soldati uccisi da una bomba. Le scene di esultanza tra il fuoco, le fiamme, la carne bruciata e i morti che stanno facendo il giro del mondo non sono l' esplosione di ferocia di un gruppetto di aguzzini. Gli strateghi del caos hanno studiato i prodromi della prima guerra globale con il presidente Ronald Reagan che abbandona il Libano nel 1983, dopo la strage alla caserma dei marines a Beirut, 195 morti ("guidando il camion bomba il kamikaze sorrideva ai marines" ricordano le cronache di allora) e Bill Clinton che ordina il "tutti a casa" da Mogadiscio quando la folla somala trascina 17 militari Usa morti in piazza. Il libro best seller che narra quella strage e la fuga americana, il film famoso, "Black Hawk Down" sono studiati dagli strateghi del caos come Scipione a West Point. Se l' opinione pubblica americana sarà impressionata dallo strazio feroce di Falluja e dallo stillicidio di morti nell' esercito (oltre 600 adesso), potrebbe imporre alla Casa Bianca una svolta, consegnare il governo agli iracheni, lasciare delle truppe di stanza e via. Allo stato maggiore del candidato democratico John Kerry, lontano dai microfoni, più di un consigliere suggerisce "Noi resteremo in Iraq, ma se Bush vince abbiamo l' impressione che sarà lui a lasciare". Quante possibilità di successo hanno i teorici del caos? Il loro slogan, rapinato da Che Guevara, "creare uno, due tre tante Beirut e Mogadiscio" è rischioso. Proprio i vent' anni di tregua apatica regalata all' internazionale del terrore da Washington, limitandosi a colpi di spillo e non riconoscendo la strategia globale, dovrebbe vaccinare l' opinione pubblica Usa dal mordi e fuggi, specialmente dopo la carneficina dell' 11 settembre. Ci vollero 50.000 morti e anni di sangue per mutare corso sulla guerra in Vietnam, che ancora alla vigilia del 1968 aveva largo consenso. Solo l' offensiva del Tet, l' attacco all' ambasciata Usa a Saigon, smuove la gente. Ricorda uno dei diplomatici: "Noi non capimmo di essere finiti in prima linea. Solo quando mi chiamò mia moglie, che aveva visto tutto in tv ed era sconvolta, compresi che era finita. La guerra sarebbe durata ancora, ma i vietnamiti avevano vinto". E' possibile che gli strateghi del caos riproducano il controllo sulla psiche del nemico di cui furono capaci Ho Chi Minh e il generale Vo Nguyen Giap, la manovra che, secondo il maestro della guerra Sun Tzu, "assicura sempre la vittoria"? Dipende da diversi fattori. La difficoltà del comando americano a identificare i nemici impedisce una chiara controffensiva. Fino a pochi giorni fa il generale Mark Kimmitt, portavoce della coalizione, si diceva persuaso che la rivolta sunnita, agli ordini di ex gerarchi del partito Baath di Saddam, stesse per essere contenuta e il pericolo venisse ormai da terroristi islamici, al Qaeda o Ansar al Islam, stranieri infiltrati dai porosi confini con l' Iran e la Siria. Come per contraddire Kimmitt ieri la strage di Falluja è stata coordinata per mostrare la folla irridente e la telecamera Aptn non è stata eliminata, malgrado né i 4.000 marines dislocati poco lontano, né l' inetta polizia irachena siano riusciti ad intervenire per oltre mezzora. La festa di popolo nel sangue e nel fuoco doveva arrivare al mondo, con lo slogan "che muoiano così tutti gli americani invasori e i loro alleati". Sul piano militare dunque c' è poco che si possa fare, se non resistere al caos e isolarlo. La partita si gioca nella testa del bambino che urla "vieni qui Bush" calpestando il morto (toccare con la suola delle scarpe è in Iraq lo sfregio peggiore). Joseph Nye, teorico del "potere soffice" di persuasione culturale, calcola che solo 150 milioni di dollari (125 milioni di euro) sono stati spesi in diplomazia, cultura e dialogo con le comunità islamiche, il bilancio del Dipartimento di Stato conta solo un miliardo di dollari, alla pari di Gran Bretagna e Francia, surclassate invece da Washington nella spesa militare. La guerra globale è una guerra civile islamica tra tolleranza e ferocia. Ieri è stata una buona giornata per il caos.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …