Paolo Andruccioli: Vivere con 2 dollari al giorno

16 Aprile 2004
Iquattrocento americani più ricchi hanno un reddito superiore a quello dei 166 milioni di abitanti della Nigeria, del Senegal, dell'Uganda e del Botswana. Il reddito dei 25 milioni di americani più ricchi equivale a quello di 2 miliardi di poveri sparsi nel resto del mondo. La ricchezza si concentra e la povertà subisce delle mutazioni, cosicché oggi il 5% più ricco della popolazione mondiale ha un reddito 114 volte superiore a quello del 5% più povero. Sono solo alcuni dei tantissimi dati che ci fornisce il "Rapporto su povertà e diseguaglianza negli anni della globalizzazione", presentato ieri alla facoltà di Economia della Sapienza di Roma e dedicato a Federico Caffè proprio nel giorno della sua scomparsa (15 aprile 1987). Il rapporto è stato curato proprio dagli allievi di Federico Caffè e nasce da un'idea di Ermanno Rea, presidente della Fondazione Napoli, nonché autore di un'inchiesta-saggio sulla scomparsa misteriosa del grande economista ("L'ultima lezione"). La presentazione di ieri è stata l'occasione per fare il punto sugli studi sulla povertà, ma anche per mettere a confronto le politiche per combatterla. Anzi, per essere precisi, per misurare lo stato stesso della politica che - a parere di molti - è ormai morta, assassinata dalla globalizzazione e dalle sue estremizzazioni, come ha detto ieri Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione comunista, a cui è spettato il compito di rompere il ghiaccio della tavola rotonda a cui hanno partecipato anche Pierre Carniti, Guglielmo Epifani e il sottosegretario Viespoli.
E' ovviamente impossibile sintetizzare in un articolo i contenuti del Rapporto e tutti gli spunti di discussione che sono emersi ieri a Economia. Anche perché la presentazione è stata divisa in due parti, una più "scientifica" curata dagli economisti e la tavola rotonda più "politica". Un elemento accomuna però i due piani della discussione ed è stato anticipato da Roberto Pizzuti in una delle due relazioni introduttive (l'altra a cura di Marcello Milone). Comunque lo si prenda, il problema della povertà e del suo rapporto con i processi globali fa emergere in modo netto i "fallimenti del mercato" e richiama in causa prepotentemente l'intervento pubblico. In realtà insieme alla globalizzazione (e su questo punto sono stati d'accordo tutti, perfino Viespoli) è prevalso anche "il pensiero unico", quella ideologia che vede proprio nel mercato e nell'annullamento dell'intervento pubblico la soluzione di tutti i problemi. Ma allo sviluppo del mercato non corrisponde una maggiore crescita, mentre è evidente l'aumento delle diseguaglianze.
Abbandonato a se stesso il mercato (soprattutto oggi sotto la veste estrema dei mercati finanziari), produce più ricchezza per pochissimi e più diseguaglianze. Neppure la crescita risolve dunque il problema e la povertà è un fenomeno rilevante anche nella Cina dello sviluppo impetuoso al 10% annuale. "La povertà estrema - sintetizza Pizzuti - resta consistente e si concentra in alcune aree del mondo, le diseguaglianza tra i redditi pro capite di tutti i paesi del mondo è cresciuta e aumenta la diseguaglianza all'interno dei paesi avanzati.
Così, se il mercato non risolve i problemi e anzi li aggrava innestando processi che portano direttamente alla guerra, come si può combattere la povertà senza nascondersi dietro facili slogan? La risposta sta appunto nel ritorno del pubblico, nel ripensamento e rilancio del ruolo dello stato o degli stati e comunque di istituzioni che rappresentano tutta la collettività e non solo parti di essa o magari conflitti di interesse come nel caso di certi manager e burocrati, come ha ricordato opportunamente il professor Milone. Il problema però è che lo stato nazionale è superato e le istituzioni internazionali (tipo l'Onu) stanno in crisi. "Noi non abbiamo referenti a livello internazionale - ha detto il segretario generale della Cgil, Epifani - uno dei problemi di base oggi è avere delle controparti". Si deve perciò ripartire dalla politica che deve fare la sua parte a si devono anche estendere le libertà. "Se posso dare un consiglio ai sindacati - ha detto provocatoriamente Pierre Carniti - non state troppo dietro alle raccomandazione dell'Oil, ma date risorse per far crescere i sindacati ovunque. Anche in Cina".
Il cerchio si chiude quindi sul rilancio del welfare e comunque sul ritorno del pubblico. Per tentare un vero riequilibrio delle sorti del mondo, serve un grande salto culturale: un nuovo bilanciamento tra le scelte di tipo individuale operate tramite i mercati e quelle operate dalle istituzioni nazionali o sopranazionali.

Paolo Andruccioli

Paolo Andruccioli (Roma, 1955) scrive sulla pagina economica del quotidiano "il manifesto", è stato caporedattore dello stesso giornale e direttore responsabile della rivista di dibattito politico-teorico "Il Passaggio" e della …