Giorgio Bocca: Democrazie in armi

19 Aprile 2004
Le esortazioni all' uso della ragione per quanto concerne la guerra irachena sono accettabili se vanno di pari passo con il corretto uso delle parole, se cioè non si confonde la guerra con la pace e il protettorato con la ricostruzione e la democrazia. Se non si cade in queste manipolazioni sull' uso delle parole, è assolutamente certo che la versione americana di una guerra per la democrazia e contro il terrorismo è palesemente contraddittoria, perché la democrazia non è una merce esportabile con le armi e perché non si combatte il terrorismo islamico integralista eliminando un dittatore ferocissimo ma laico e nemico giurato dl Al Qaeda e di altre sette religiose. L' idea dei falchi americani che fosse possibile con una guerra cogliere obiettivi dissimili e contraddittori è il contrario dell' uso della ragione, è una voglia mal dissimulata di dominio strategico ed economico. L' esportazione della democrazia non è stata neppure tentata. Il proconsole americano Bremer sapeva benissimo che la democrazia rappresentativa, one man one vote, non sarebbe andata oltre la propaganda in un Paese diviso fra etnie, sette religiose, nell' ignoranza di masse prive di tradizioni e culture democratiche. Questa democrazia è in crisi manifesta anche nei Paesi in cui è nata, in cui è cresciuta, figuriamoci in Iraq. E, infatti, come ha gestito Bremer la nascente democrazia irachena? Simulandone l' esistenza alla maniera delle colonie e dei protettorati, ha messo assieme un governo di facciata, privo di ogni potere reale e ha immaginato un "governo del popolo" senza il popolo, ha pensato che una democrazia nominativa, scelta dall' occupante, composta da notabili collaborazionisti fosse l' unica soluzione possibile in tempi brevi. Qualcosa del genere venne applicata in Italia, nei giorni dello sbarco alleato in Sicilia quando a dirigere l' amministrazione provvisoria vennero chiamati gli amici degli amici. Ma presto ci si rese conto che il Risorgimento era già stato fatto e che i suoi valori non erano cancellabili. Immaginare e dire e scrivere che questo tipo di democrazia possa piacere agli iracheni è fare quell' uso scorretto delle parole che di per sé è il contrario della pace, della libertà, della civile intesa e il presupposto di una invisa occupazione. L' America del 1945 non era filantropica ma non era colonialista, pensava che il colonialismo fosse superato, che al dominio bastassero le industrie e le tecniche. L' America di Bush e del suo gruppo di potere dice di preferire il globalismo commerciale alle cannoniere, ma la sua ideologia esposta in aperte e a volte arroganti dichiarazioni di intenti è basata sulla forza militare, sull' esercito invincibile cui tutti si devono piegare. Qual è la reazione del presidente Bush e del suo staff alle delusioni che arrivano dall' Iraq? Manda altri soldati, spendere altri milioni di dollari ma non cambiare rotta. Mai una discussione sulla guerra evidentemente sbagliata, ma l' affermazione che la "missione", come la chiama il capo del nostro governo, deve continuare. Siamo alla vigilia di elezioni, negli Usa e da noi c' è sempre una vigilia elettorale. Gli iracheni si ribellano, disertano, badano solo ai fatti loro. C' è da stupirsene? La ricostruzione americana, ormai è chiaro, consiste nei buoni affari del gruppo di potere che sta attorno a Bush, petrolieri, costruttori edili, venditori di impianti scolastici, di strumenti informatici, di installazioni militari. Il novanta per cento degli appalti è toccato ad aziende Usa, apertamente o con coperture internazionali. I ventimila della sicurezza privata sono al novanta per cento al servizio di interessi americani. Questo non giustifica la ferocia e il ricatto che i terroristi islamici esercitano sulla loro pelle, ma la guerra è di per sé sospensione di ogni legalità, e l' uso propagandistico delle parole non basta a cambiarla e non serve neppure a nasconderla. Le verità vengono sempre a galla; ora si è saputo che a Nassiriya - per legittima difesa, per essere stati attaccati di sorpresa, sia ben chiaro - il 7 aprile i nostri hanno avuto dodici feriti ma hanno ucciso quindici iracheni. Non è guerra questa? Non è la prova che fra gli occupanti e gli occupati il baratro dell' inimicizia si fa più fondo. "La missione continua", si dice, "terremo duro". La cosiddetta resistenza irachena non esiste, è "brigantaggio, marmaglia". Alle nostre autorità non piace che una giornalista Rai usi la parola "resistenza". E allora chi sono quei fantasmi in carne ed ossa che ogni giorno fanno saltare caserme, interrompono le comunicazioni, incendiano, uccidono? Non sono "resistenti" perché non piace a quelli della "missione"? Cambiò qualcosa in Italia quando tedeschi e fascisti chiamavano "banditi" i partigiani? Niente cambiò, la guerra senza prigionieri andò avanti senza curarsi delle parole false e finì solo quando gli occupanti se ne tornarono a casa. Dicono che tornare a casa sia impossibile o disastroso. Ma non è disastrosa la situazione attuale? Tornare a casa a volte è l' unica soluzione. Fare quel che fecero gli americani nel Vietnam quando il segretario di Stato Kissinger disse al presidente Johnson: "Proclamiamo la nostra gloriosa vittoria e torniamo a casa".

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …