Giorgio Bocca: Una missione finita prima di cominciare

31 Maggio 2004
Credo non occorra il 30 giugno della svolta in Iraq per prendere atto che la nostra spedizione è stata una decisione politica e non militare in linea con le nostre tradizioni di improvvisazione. Basterebbe questa considerazione: andati a Nassiriya per una missione di pace, non siamo stati in grado di mantenere il controllo della città, di cui hanno preso possesso le milizie irachene. Con l'aggiunta tragicomica di quella nostra governatrice che nessuno ha mai saputo da dove sia spuntata, trasferita da una sede all'altra per compiti di cui era impotente. La nostra missione era finita prima di cominciare: non avevamo né i mezzi né il personale per la ricostruzione, per rimettere in piedi secondo i bisogni reali elettricità, acqua, comunicazioni. Davamo una mano, cercavamo di apparire amici, si capiva che non cercavamo complicazioni, ma eravamo tollerati più che obbediti. Ma è nel corso degli ultimi avvenimenti che si è capito meglio l'improvvisazione generale, anche quella della Coalizione. In un uno schieramento multiplo differenziato fra i vari paesi della Coalizione non esistevano dei collegamenti organici, non c'era un fronte continuo, c'era una costellazione di corpi separati.
I due contingenti base, l'americano e l'inglese, non hanno mai messo a disposizione generale la loro aviazione e le forze corazzate, non hanno mai dato vita a una logistica comune, anche se è evidente che sarebbero in grado di cacciare dagli abitati e di disperdere i ribelli di Al Sadr. Non è stata assicurata neppure una logistica efficiente: i nostri sono a corto di munizioni mentre ne hanno in abbondanza gli assalitori che pure si servono di rifornimenti clandestini. Non ci sono neppure elicotteri da combattimento grazie ai quali si sarebbero potuti rifornire gli avamposti o metterne in salvo i presidi senza corse nel fuoco del deserto. Il grosso delle forze americane non è mai intervenuto a spazzar via i ribelli, pur avendo piena mobilità. Si è avuta l'impressione che gli dessimo più fastidio che preoccupazione. In teoria dovremmo ricevere istruzioni dagli inglesi da cui Nassiriya dipende, ma il colonnello che segue la nostra governatrice è una comparsa. Manca soprattutto, ma non solo a noi, un progetto strategico, un piano politico militare per vincere la guerra e arrivare alla pace.
Da noi in Italia è pieno di gente che si affanna a spiegare che non possiamo ritirarci, se no in Iraq scoppia la guerra civile. Perché? Non è già scoppiata? Migliaia di poliziotti o di funzionari collaborazionisti non sono già stati uccisi, le loro caserme e uffici distrutti, le loro spie giustiziate? Non sono già affiorate e poi esplose le rivalità religiose ed etniche fra sciiti, sunniti e curdi? La guerra civile in Iraq dura dalla sua formazione come Stato, e Saddam lo ha tenuto assieme con la ferocia. Anche in altri paesi arabi monarchie moderate con l'Occidente, ma spietate nei riguardi dei loro sudditi, soffocano con la forza le opposizioni: in Algeria c'è stata una strage di massa, in Libia funziona una dittatura militare, in Egitto si è sull'orlo di un vulcano. E noi dell'Occidente ricco abbiamo la pretesa di venir qui a mettere ordine, abbiamo la pretesa di continuare con le occupazioni un rapporto fra Stati che la modernità ha reso impossibile, anacronistico. E perseverarvi è diabolico, significa pagare prezzi spaventosi che deturpano le nazioni, svuotano le loro case e uccidono la democrazia.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …