Jodorowsky: chiedi al mago
08 Giugno 2004
Alejandro Jodorowsky è un uomo mite, perché saggio, e un uomo allegro,
perché saggio. A settantaquattro anni il fascino terribile e maestoso della
gioventù, la lunga chioma, la bellezza fiera delle sue origini ucraine, lo
sguardo di pietra dura, si è concentrato tutto nel sorriso: un sorriso perenne,
cauto, rassicurante. La sua parola preferita è "bueno": la dice con
calma e con forza e la dice spesso, qualunque cosa terribile o complicata il suo
interlocutore gli stia chiedendo. Perché da qualche anno e quasi esclusivamente
ormai Jodorowsky, se non il più eccentrico degli artisti del Novecento certo il
più eclettico - è stato pioniere del teatro surrealista, coreografo di Marcel
Marceau, enfant terrible della vita culturale del Cile anni Cinquanta, ha
sceneggiato le leggendarie storie di Moebius, girato film come Il topo
(il film preferito di Andy Wharol) e scritto capolavori di realismo magico come Teresa
si arrabbiò con Dio - insomma, in una parola Jodo, come lo chiamano tutti,
ora di mestiere fa lo psicomago: ogni giovedì sera a Parigi legge gratuitamente
i tarocchi in un caffè e, un po' dappertutto, in giro per il mondo organizza
seminari di psicomagia - questa settimana ne ha fatto uno a Napoli - dove
risponde alle domande di vita e di dolore della gente. Quelli gli raccontano una
storia (amori difficili, incidenti, lutti, malattie, nodi emotivi, conflitti
familiari) e esprimono un desidero. Lui dice "bueno" e dà loro una
magia da fare. Ruba i vestiti di tuo padre e sotterrali. Costruisci un burattino
e impara a farlo muovere. Abbraccia un albero ogni giorno per quaranta giorni.
Strappa il cuore di un gallo e cucinalo per la tua famiglia. Cose così.
"Alle volte un atto apparentemente assurdo può aiutare a curare una
malattia dello spirito" spiega Jodo "perché parla all'inconscio, che
scambia i simboli per realtà. Poi però l'inconscio deve ubbidire, e non è
facile. La gente è legata alle proprie difficoltà: i problemi che abbiamo sono
solo quelli che desideriamo avere". Certo è che la psicomagia è una cosa
che non esisteva prima, e forse non esisterà dopo Jodorowsky, perché è una
versione psicanalitica della magia, o tutta magica della terapia, e non si può
insegnare all'università. Lui stesso confessa di averla appresa in una vita
intera, seguendo sciamani, guaritori, maestri zen, artisti e psicanalisti. Se si
domanda a Jodorowsky quale sia stato il suo mestiere, quale la sua arte tra
tante - il clown, lo sceneggiatore, il burattinaio, il regista, lo psicomago -
lui risponde: "sono un professore di immaginazione. Insegno alla gente ad
immaginare".
La vita di questo sciamano occidentale, che ha studiato i libri alchemici medievali e i testi di psichiatria lo stesso rispetto e la stessa curiosità, è racchiusa ora nella sua autobiografia, in uscita per Feltrinelli (stamattina a mezzogiorno la presenta a piazza dei Martiri). Si chiama 'La danza della realtà', ma c'è da intendersi con lui su cosa sia la realtà. "Intanto la realtà non è razionale, anche se ci fa comodo pensare che lo sia. La maggior parte della gente percepisce una minima parte della realtà, perché appunto non sa usare l'immaginazione" spiega. "L'immaginazione esiste in ogni campo: intellettuale, scientifico, mistico, economico, sessuale, sentimentale. La maggior parte del tempo e la maggior parte delle persone invece sono chiuse in un mondo individuale piccolissimo, fatto di credenze e condizionamenti. L'immaginazione è la chiave per aprirsi all'universo e uscire da noi stessi. Il mondo è vasto e misterioso". Nel suo appartamento a Parigi Jodo ha pochi oggetti e nessuna immagine alle pareti: "le ho tolte tutte, tanti anni fa. Per lasciare spazio alle immagini interiori". Intervistarlo è una faccenda complicata; risponde solo alle domande che lo interessano o dà solo le risposte che lo interessano. Se gli chiedi quali siano i suoi progetti prossimi (si parla di un film con Marylyn Manson, di cui è un grande ammiratore: si sa che ha scritto la sceneggiatura di uno "spaghetti western") lui scuote la testa e racconta invece come stia mettendo a punto un metodo per pulire l'ombra delle persone. Se gli chiedi perché ha scelto di vivere a Parigi, con i suoi cinque figli, risponde secco: "io non vivo in una città, vivo nella mia anima". Se gli chiedi cosa significhi guarire spiega lapidario: "Essere noi stessi e non quello che gli altri desiderano che siamo". Dei suoi film esoterici che lo hanno reso un regista di culto nei salotti intellettuali e negli ambienti underground di mezzo mondo, come della saga cult 'L'incal', realizzata con Moebius negli anni Ottanta, o del kolossal incompiuto Dune con Salvador Dalì, Gloria Swanson, Orson Welles e le musiche dei Pink Floyd, non ama parlare. Ma racconta volentieri il suo percorso spirituale (che è poi il vero oggetto di questa ultima biografia) così come gli incontri della sua vita: Topor, Moebius, Carlos Castaneda, Erich Fromm. Da tante avventure, artistiche e spirituali, Jodo sceglie di congedarsi con un insegnamento: "bueno" annuisce "per vivere bisogna conquistare la propria libertà. In questo l'arte ci aiuta: imitiamola".
La vita di questo sciamano occidentale, che ha studiato i libri alchemici medievali e i testi di psichiatria lo stesso rispetto e la stessa curiosità, è racchiusa ora nella sua autobiografia, in uscita per Feltrinelli (stamattina a mezzogiorno la presenta a piazza dei Martiri). Si chiama 'La danza della realtà', ma c'è da intendersi con lui su cosa sia la realtà. "Intanto la realtà non è razionale, anche se ci fa comodo pensare che lo sia. La maggior parte della gente percepisce una minima parte della realtà, perché appunto non sa usare l'immaginazione" spiega. "L'immaginazione esiste in ogni campo: intellettuale, scientifico, mistico, economico, sessuale, sentimentale. La maggior parte del tempo e la maggior parte delle persone invece sono chiuse in un mondo individuale piccolissimo, fatto di credenze e condizionamenti. L'immaginazione è la chiave per aprirsi all'universo e uscire da noi stessi. Il mondo è vasto e misterioso". Nel suo appartamento a Parigi Jodo ha pochi oggetti e nessuna immagine alle pareti: "le ho tolte tutte, tanti anni fa. Per lasciare spazio alle immagini interiori". Intervistarlo è una faccenda complicata; risponde solo alle domande che lo interessano o dà solo le risposte che lo interessano. Se gli chiedi quali siano i suoi progetti prossimi (si parla di un film con Marylyn Manson, di cui è un grande ammiratore: si sa che ha scritto la sceneggiatura di uno "spaghetti western") lui scuote la testa e racconta invece come stia mettendo a punto un metodo per pulire l'ombra delle persone. Se gli chiedi perché ha scelto di vivere a Parigi, con i suoi cinque figli, risponde secco: "io non vivo in una città, vivo nella mia anima". Se gli chiedi cosa significhi guarire spiega lapidario: "Essere noi stessi e non quello che gli altri desiderano che siamo". Dei suoi film esoterici che lo hanno reso un regista di culto nei salotti intellettuali e negli ambienti underground di mezzo mondo, come della saga cult 'L'incal', realizzata con Moebius negli anni Ottanta, o del kolossal incompiuto Dune con Salvador Dalì, Gloria Swanson, Orson Welles e le musiche dei Pink Floyd, non ama parlare. Ma racconta volentieri il suo percorso spirituale (che è poi il vero oggetto di questa ultima biografia) così come gli incontri della sua vita: Topor, Moebius, Carlos Castaneda, Erich Fromm. Da tante avventure, artistiche e spirituali, Jodo sceglie di congedarsi con un insegnamento: "bueno" annuisce "per vivere bisogna conquistare la propria libertà. In questo l'arte ci aiuta: imitiamola".
Alejandro Jodorowsky
Alejandro Jodorowsky, nato nel Cile del Nord nel 1929, figlio di immigrati ebreo-ucraini, si è trasferito nel 1953 a Parigi, dove ha fondato con Fernando Arrabal e Roland Topor il …