Paolo Andruccioli: Salari in caduta libera

09 Settembre 2004
I salari continuano a perdere potere, cresce l'inflazione (più degli altri paesi europei), il Pil non dà segni di ripresa. In due anni, dal 2002 al 2004, un lavoratore con un reddito medio di 22 mila euro ha perso circa 1400 euro, soldi che se sommati danno la ragguardevole cifra di 22 miliardi di euro. L'economia italiana è praticamente ferma. Basta guardare i dati sulla produttività, la produzione industriale e l'export, che continua ad andare male, nonostante qualche segnale dall'oriente e l'ostentazione di ottimismo dei ministri del governo Berlusconi. È il quadro proposto ieri dall'Ires-Cgil, che - come ha detto il presidente Agostino Megale - non è abituata alle notizie strombazzate. Eppure nonostante, la prudenza, l'analisi dei dati è inesorabile. "In Italia - ha detto sempre Megale - c'è ormai una evidente questione salariale". E c'è anche una questione più generale di peggioramento dei livelli di vita. Perché la redistribuzione in favore delle rendite e di una parte degli italiani ricchi, punisce soprattutto i redditi medio-bassi. Secondo le elaborazioni dei ricercatori dell'Ires (autori dello studio presentato ieri Lorenzo Birindelli, Paola Naddeo e Giuseppe D'Aloia), ci sono oggi circa 10 milioni di lavoratori che guadagnano meno di 1350 euro netti. I lavoratori a rischio povertà sono ormai circa 6.5 milioni.
"Il dato sui consumi di agosto - ha detto il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani - è il peggiore degli ultimi 10 anni. E bisogna anche capire che quei 22 miliardi persi dalle buste paga dei lavoratori da qualche altra parte saranno andati". Chi ci ha guadagnato dunque? Da quale parte si è indirizzata la potente redistribuzione del reddito che si è registrata negli ultimi anni? Sempre secondo il segretario generale della Cgil, si possono individuare almeno tre settori che hanno beneficiato dello spostamento del pendolo: i settori industriali non esposti alla concorrenza, le rendite e i settori protetti. È evidente che in questa situazione non solo si pone il problema del rilancio dei contratti e della parte salariale in particolare, ma che diventerebbe perfino immorale se la legge finanziaria andasse ad appozzare nel solito pozzo dei dipendenti e pensionati.
I dati presentati ieri rischiano anche di ipotecare una parte del nostro futuro, visto che siamo di fronte all'aumento delle diseguaglianze (con tutto ciò che questo fenomeno comporta), ma anche alle distorsioni ormai evidenti di un sistema che stenta a riprendersi. I confronti con il resto dell'Europa aumentano le preoccupazioni. La retribuzione netta media dei lavoratori francesi nel 2003 è stata di 22,39 mila euro. Quella degli inglesi, 20,49 mila euro. I lavoratori italiani, nello stesso anno, si sono dovuti accontentare in media di circa 17 mila euro. Nel periodo 2000-2003, la produttività è cresciuta ovunque, mentre in Italia è diminuita dell'1,2%.
L'occupazione, viceversa, sembra tenere, ma è un'occupazione che cambia natura rispetto al passato. Si tratta, come ha segnalato l'Istat, di una occupazione sempre più precaria e a tempo determinato, un mercato del lavoro che si sta americanizzando. Ma mentre l'Italia copia gli esempi stranieri nel campo della flessibilità del lavoro, non riesce a fare altrettanto sulla competività e l'innovazione. Il Pil degli Usa, nel 2003, è cresciuto del 4,5%. Quello della Ue del 2,2%. Quello nostrano dello 0,8%. Non parliamo poi dell'innovazione dove l'Italia continua a stare negli ultimi posti. In questa situazione la Cgil propone le sue alternative. Da una parte si devono difendere i contratti nazionali, che sono stati l'unico vero argine alla debacle. Dall'altra si deve riproporre una nuova versione della politica dei redditi, che come ha spiegato ieri il segretario generale Guglielmo Epifani, non deve essere intesa come una nuova politica dei sacrifici, ma come una politica capace di usare le leve giuste per riequilibrare il rapporto tra i redditi. Sia Megale, che Epifani hanno parlato poi anche di un "patto" con le imprese, che devono essere interessate alla ricerca di soluzioni credibili per uscire da questa crisi che sembra non finire mai.
Si tratterà di vedere gli sviluppi dei rapporti sindacali per capire gli effettivi spazi della politica dei redditi. E' certo comunque che il modello si dovrà ripensare. Anche perché - per inciso - in alcuni paesi dove la concertazione non c'è stata (tipo Francia e Gran Bretagna), i salari si sono difesi meglio dei nostri.

Paolo Andruccioli

Paolo Andruccioli (Roma, 1955) scrive sulla pagina economica del quotidiano "il manifesto", è stato caporedattore dello stesso giornale e direttore responsabile della rivista di dibattito politico-teorico "Il Passaggio" e della …