Gianni Riotta: La rivolta dei guerrieri del weekend costretti a combattere senza più congedi

23 Settembre 2004
Durante la Seconda guerra mondiale gli eroi di milioni di soldati americani erano Willie e Joe, due marmittoni disegnati nelle vignette di Bill Mauldin, sul giornale dell'esercito ‟Stars and Stripes”. Sporchi, laceri, pieni di pidocchi, Willie e Joe si battevano contro il nemico e la follia dei superiori, con un solo sogno: vincere per tornare a casa, non per la gloria. Il loro erede è oggi il capitano in congedo Andrew Exum, eroe della Decima divisione di montagna in Afghanistan, che torna a casa per scrivere un bel libro, This man's army, l'esercito di quest'uomo. Anche Exum fa il proprio dovere a denti stretti, senza sconti ai superiori: "Vorrei dirlo al governo, la politica estera la fa il soldatino di 19 anni con il mitra a tremare dietro un muro di Bagdad, non i professori neoconservatori in aula". Il tradizionale malumore dei soldati affiora nella guerra al terrorismo e in Iraq. L'esercito professionale è provato da tre anni di campagna e i civili della Riserva e Guardia nazionale, "guerrieri del week end", conoscono lunghe mobilitazioni al fronte, tra morti, feriti e mutilati. Giovedì il generale James Helmly, capo della Riserva, ha ammesso per la prima volta quel che gli esperti militari sanno da sempre, che cioè presto le forze armate Usa saranno a corto di specialisti, dagli autisti dei convogli che attraversano l'Iraq dal Kuwait, a operatori radio, contabili e impiegati. La guerra globale non lascia posti di seconda fila e perfino i camionisti sono addestrati a sparare, a reagire alle imboscate, a disinnescare ordigni. Ogni congedo apre un vuoto drammatico. Il Pentagono ha così escogitato la regola dello "stop losses", i riservisti e i membri della Guardia nazionale la cui unità è mobilitata in Iraq devono restare fino alla fine, anche se personalmente hanno raggiunto il congedo. In America si serve nella Riserva e nella National Guard per spirito militare, ma anche per avere sussidi universitari, mutua e pensione, contando su brevi weekend di addestramento e qualche settimana di campo. L'Iraq, con 140.000 uomini di stanza da oltre un anno, ha cambiato il quadro. I riservisti combattono al fronte, ma si lagnano di non essere preparati, di avere rancio, armi e protezione inferiori a quelli dell'esercito. Eric McKinley, un fornaio con i capelli tinti da punk, i piercing ribelli nascosti in varie parti del corpo, s'era arruolato nella Guardia nazionale dell'Oregon nel 1998, un altro modo per avere un po' di brividi. Ad aprile doveva tornare a casa, ma la sua brigata era in Iraq e il suo congedo cancellato. Il 13 giugno una bomba lo ha maciullato accanto al gippone Humvee, e stop con i sogni punk, stop con i piercing, stop con l'indaco nel ciuffo. Una bara alla base del Delaware e un funerale con addosso la divisa hanno chiuso la sua vita. Il padre, Tom McKinley, confida: "Mio figlio e i soldati non professionisti non sono pronti alla guerra. Mancano di preparazione, spesso non hanno mezzi blindati a punto, non sanno reagire a situazioni d'emergenza. Eric protestava perché a loro davano due pasti al giorno e all'esercito regolare tre, mentre gli Humvee erano schermati con sacchi di sabbia e legno, non pannelli di Kevlar antiproiettile". Certe famiglie mandano ai parenti i giubbotti antiproiettili ultimo modello a spese proprie. Willie e Joe avrebbero protestato dalle vignette, oggi reagisce Exum, capitano-scrittore: "Mi son congedato due settimane prima della regola stop losses. È una violazione del contratto, una leva di massa non ufficiale che piazza i sacrifici addosso ai volontari, reduci di Afghanistan e Iraq che pagano il prezzo del dolore mentre tanta gente a casa non muove un dito". In Colorado i soldati professionisti della III Brigata di combattimento lamentano che i superiori intimano loro "o firmate per altri tre anni o vi spediamo al fronte". Il ricatto sarebbe chiaro: meglio tre anni di naja a casa che uno solo, rischiando di allungare la catena dei mille caduti. A San Francisco un sergente ha denunciato il Pentagono per la regola stop losses dichiarandola illegale. Il capitano David Chasten, reduce dell'Iraq, spiega perché: "Bush ha tre scelte per rimediare ai suoi errori: reclutare più gente, pagandola bene; imporre la leva obbligatoria, con costi altissimi e altissimi prezzi politici; o invece fregare noi volontari imponendoci nuove corvée. Sceglie la via più facile". Lawrence Korb, esperto militare appena tornato da una missione a Bagdad per conto del Pentagono, fa i conti e non sono felici: "Il Pentagono dice che Riserva e Guardia nazionale non avranno problemi solo perché han bloccato tutti con stop losses. Ma quando i mandati scadranno non so quanti firmeranno o si arruoleranno nel 2006. Le forze armate hanno 10 divisioni effettive e 8, ciascuna con 15.000 uomini, sono di stanza in Iraq. A questi ritmi la qualità di combattimento scende, non possiamo preparare i soldati e presto il morale sarà infiacchito". Ai tempi del Vietnam c'erano 1.512.000 americani in divisa. Alla caduta del Muro di Berlino erano 718.000. Oggi l'esercito conta su 492.000 uomini e donne, e i Marine su 178.000. Michael Peters, ex ufficiale ora al Council on Foreign Relations, trasforma in strategia le memorie di Exum e il dolore del papà di Eric: "Solo un terzo delle nostre brigate dovrebbe essere al fronte, per dare modo agli altri di riposare ed essere addestrati a nuove tecniche. Tra il marzo del 2003 e il giugno del 2004, invece, 31 delle 33 brigate combattenti sono andate in prima linea". Il deputato di Harlem Charles Rangel propone la leva contro "i figli di papà", il senatore repubblicano Chuck Hagel ammonisce che può diventare indispensabile. Il candidato democratico John Kerry parla di "leva nascosta di Bush", il presidente conta i giorni che mancano alle elezioni, sapendo che poi dovrà fare i conti con i vuoti che si stanno aprendo nel più forte esercito della storia del mondo.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …