Lorenzo Cremonesi: K2. Sul tetto della Terra è peggio che in città

20 Dicembre 2004
Più neri e meno bianchi. Il futuro dei ghiacciai alpini guarda a quelli di Himalaya e Karakorum. "Mezzo secolo di ricerche sul campo ci ha insegnato che le nevi eterne delle Alpi diminuiranno e si ricopriranno presto di morene fatte di sassi e terriccio. Il modello per eccellenza è il ghiacciaio del Baltoro, verso le pendici del K2, dove ormai terra e rocce fanno da padroni. Saranno ovunque ghiacciai neri. E sarà un bene per loro, perché lo strato di detriti caduto dalle pareti ormai sgombre di neve contribuirà nel lungo periodo a proteggere il ghiaccio dall’ablazione solare" osserva Claudio Smiraglia, glaciologo dell’Università di Milano. Un preoccupato grido di allarme il suo, lanciato al convegno "K2 cinquant’anni dopo" organizzato dal Cnr per tirare le somme di mezzo secolo di studi italiani "negli ambienti estremi". Un grido ripreso e corredato di dati e analisi dai ricercatori-alpinisti che hanno operato quest’estate al K2 grazie ai finanziamenti dell’Istituto nazionale della montagna, dello stesso Cnr, e nel contesto della spedizione per il cinquantesimo della prima salita di Lacedelli e Compagnoni alla seconda montagna della terra.

Ghiaccio.
Non si tratta dell’ennesimo "al lupo al lupo" sulle conseguenze dell’effetto serra. Lo stesso Smiraglia relativizza: "A chi piange già con melanconia le bellezze crepacciate del Monte Bianco o dei seracchi pensili sull’Eiger va ricordato che prima della cosiddetta piccola glaciazione alla fine del Medioevo le carrozze transitavano ai quasi 4.000 metri del colle del Teodulo, sul Monte Rosa. Oggi ci si può sciare tutto l’anno. E i nostri studi sui campioni di ghiaccio raccolti in profondità ai poli confermano la teoria dei cicli meteorologici della durata di circa 10.000 anni. A periodi caldi si alternano quelli freddi. Le future generazioni forse guarderanno con nostalgia al clima temperato della nostra era. Ma è un fatto che specie negli ultimi vent’anni fa molto più caldo e i ghiacciai si sciolgono". Le prove? Basta confrontare i dati raccolti quest’estate con quelli riportati da Ardito Desio nel 1954. Sono cresciuti gli "scivolamenti" dei ghiacciai verso il basso. La neve in scioglimento li "scolla" dal terreno provocando un fenomeno che a prima vista potrebbe far credere stiano crescendo. In effetti però sono in piena ritirata. Lo testimonia lo spessore del Baltoro, diminuito in mezzo secolo mediamente di 30 metri.

Fumo.
Segnali ancora più preoccupanti giungono dalle analisi dei campioni di neve raccolti tra i 3.000 e 5.500 metri. "Non solo al K2, ma anche alle pendici pakistane e tibetane dell’Everest abbiamo riscontrato una marcata presenza di tracce di carbonio, agenti chimici derivati dagli idrocarburi, nitrati e persino dal fumo generato dello sterco di vacca utilizzato tutt’ora da larga parte delle popolazioni asiatiche come combustibile. Sono le conseguenze molto visibili della cosiddetta brown cloud che ammorba i cieli dell’Estremo Oriente e riduce i raccolti del riso del 7 per cento" afferma Gianni Tartari dell’Istituto di ricerca sulle acque finanziato dal Cnr. Sono fondamentali in proposito i dati raccolti dalla piramide-laboratorio voluta da Ardito Desio per il Cnr ai 5.050 metri sul sentiero che conduce al tetto del mondo. A detta di Tartari, la loro gravità è anche conseguenza dell’aumento della popolazione mondiale e del processo di industrializzazione a tappe forzate di India e Cina, oltre alle emissioni inquinanti del Giappone: "I ghiacciai dell’Himalaya costituiscono uno dei termometri più sensibili dell’ecosistema mondiale. Al campo base dell’Everest si trovano persino le scorie volatili che i venti hanno portato dall’Europa. È impressionante pensare che una città come Tokio rilasci quotidianamente una quantità di energia nove volte superiore a quella che incamera nello stesso periodo dal sole".

Enzima.
Un invito alla prudenza agli alpinisti che mirano alle 14 vette della Terra oltre gli ottomila arriva invece da Paolo Cerretelli, dell’Università statale di Milano. "Attenzione. Dopo 10 o 12 settimane sopra i 5.000 metri il corpo perde in modo irreversibile dal 10 al 15 per cento della massa muscolare. Non servono gli allenamenti in pianura. Un pezzo del motore è perduto per sempre e si evidenziano segni di invecchiamento precoce" dichiara. Un rimedio potrebbe essere riuscire a estrapolare la "glutatione-S-transferasi", un enzima scoperto nei muscoli delle popolazioni tibetane e nepalesi che vivono sopra i 4.000 metri. Grazie a quell’enzima la loro capacità di "lavare via" gli effetti dell’altezza è superiore di ben 4 volte a quella di ogni altro essere umano.

Lorenzo Cremonesi

Lorenzo Cremonesi (Milano, 1957), giornalista, segue dagli anni settanta le vicende mediorientali. Dal 1984 collaboratore e corrispondente da Gerusalemme del “Corriere della Sera”, a partire dal 1991 ha avuto modo …