Giorgio Bocca: La fucilazione di Mussolini. Quel che accadde non fu casuale

01 Marzo 2005
Piazzale Loreto fra corso Buenos Aires e viale Monza a Milano dovrebbe chiamarsi piazza Guerra civile, luogo della Milano popolare prescelto per mostrarne la ferocia e il dolore, prima usata per le fucilazioni in massa di partigiani, con i passanti obbligati dai fascisti a fermarsi davanti ai cadaveri. Poi il 29 aprile del ‘45 per la famosa esposizione dei cadaveri dei capi fascisti, Mussolini e la Petacci fucilati dal comunista Audisio a Giulino di Mezzegra, un villaggio vicino al lago Maggiore portati a Milano con gli altri fucilati a Dongo, Pavolini, Zerbino, Mezzasoma, Romano, Liverani, Porta, Coppola, Darquanno, Stefani, Nudi, Casalinuovo Calistri, Untimperghe e un fratello della Petacci. Le cronache delle giornate della Liberazione di Milano sono caotiche e rese più contraddittorie dalle speculazioni di parte e dalle leggende successive. Cerchiamo di fare un minuto di chiarezza. La fucilazione di Mussolini e dei gerarchi era una conclusione inevitabile dei venti mesi di una guerra senza prigionieri? No, ancora il 24 aprile si pensava a un arresto e a un processo di Mussolini. Riccardo Lombardi, designato prefetto di Milano dal comitato di liberazione lo conferma: "Avevo preparato una prigione a San Vittore e una guardia di partigiani fidati capaci di tenere i nervi a posto. Gli alleati angloamericani erano d’accordo che fossimo noi a occuparcene". Sono ore concitate in cui tutti i comandi decidono senza informarsi a vicenda. Al comando dell’esercito partigiano la decisione è un’altra. Ricorda Fermo Solari, l’uomo del Partito d’azione che condivide il comando con il comunista Luigi Longo: "Telefonarono da Musso che il Duce era prigioniero. Longo uscì per dare ordini e poi mi disse: ho trovato solo Audisio, ho mandato su lui perché ce lo porti a Milano. Quando si seppe che Mussolini e i gerarchi erano stati fucilati noi ci adattammo al fatto compiuto che del resto approvavamo in pieno". Lo approvavano in pieno anche perché da uomini politici sapevano che la fucilazione di Mussolini sarebbe stata una responsabilità destinata a pesare negli anni. Altro punto da chiarire: l’esposizione dei cadaveri a piazzale Loreto, appesi a testa in giù a un distributore di benzina, non fu la "bassa macelleria" che i fascisti superstiti ma anche parte della pubblica opinione considerò incivile. No, l’esposizione dei cadaveri non fu un atto di sadismo e di vendetta impietosa, fu una necessità. Si è saputo da chi comandava la guardia partigiana che la folla accorsa a vedere il fascismo morto continuava a crescere e a premere contro l’esile cordone partigiano talché fu necessario alzare i cadaveri perché li potessero vedere anche da lontano. Il caso e le protezioni di classe decidono la sorte degli altri gerarchi. Il maresciallo Graziani viene salvato dal generale Cadorna, comandante militare dell’esercito partigiano e consegnato agli alleati a cui chiede "l’onore di conservare l’arma individuale". Muoiono casualmente Arpinati e Starace. Il primo da anni in rotta con il Partito fascista ucciso da una squadra di partigiani che passano per la sua campagna sulla collina di Bologna. Achille Starace, il segretario del partito, quello che nelle cerimonie del regime ordinava il "saluto al Duce fondatore dell’impero" è arrestato a Porta Genova. Si è salvato fin lì in un appartamentino in affitto, se ci stesse chiuso scamperebbe ma gli vien voglia di prendere un caffè in un bar vicino, ci va in tuta sportiva e pantofole. Lo portano a piazzale Loreto dove è esposto il cadavere del Duce. Lui mormora "fate presto". L’uomo più odiato del regime, Roberto Farinacci, è bloccato e giustiziato a Vimercate mentre fugge la sera del 25 in auto con l’amica Claudia Medici del Vascello. Si è ucciso gettandosi da una finestra con la moglie l’ideologo del razzismo Giovanni Preziosi. Piazzale Loreto e la sua tragica esposizione non sono casuali e non sono solo vendetta. Sono un macabro segnale per abbreviare la guerra. L’Hitler assediato nella cancelleria a Berlino si decide al suicidio quando viene informato di come è morto Mussolini. Lo sentono mormorare: "Non mi avranno vivo, non andrò a fare il mostro in qualche circo sovietico". Il Terzo Reich si chiude con un macabro ballo della corte nazista che brinda a Champagne e si ubriaca mentre il capo e la sua amante, sposata nel bunker, si tolgono la vita. La caduta del fascismo è meno nibelungica. Prima di fuggire da Milano i principali gerarchi hanno intascato grosse somme, il comandante della Guardia nazionale Ricci ha fatto in tempo a incassare in banca un assegno di quattro miliardi e il ministero degli Esteri ha spartito con i ministri le divise pregiate, ma a piazzale Loreto e al Comitato di liberazione di quel denaro non arriverà una lira, in parte finito a un partito come il famoso "oro di Dongo" in parte nelle tasche degli ignoti che in quelle ore drammatiche riuscirono a unire l’utile al patriottico.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …