Gianni Riotta: Tasse, violenza ed etnie. Una strana Quaresima italiana

06 Aprile 2006
Che Paese è l'Italia di Quaresima, con Tommaso, sacrificato come agnello pasquale, l’ultima foto felice nell’abituccio da Pierrot, sorridente, ignaro del male intorno a lui e a noi? Le cronache cercano il facile esorcismo, ‟rapitore siciliano”, ‟pregiudicato siciliano” e perfino il killer ‟nato a Parma” soffre dell’”origine siciliana”. Altri orrori italiani, Cogne, Novi Ligure, i coniugi decapitati a Brescia, sono tragedie della nostra età, al confine tra famiglia e violenza, dove la metropoli cede a una periferia che si crede trapiantata nella natura, ma è in realtà sospesa tra ipermercati e reality show, terra di nessuno che finge di vivere nel passato, scambiando un albero stento per un totem ancestrale, perduta in materialismo cinico. Nessuno si preoccupa - giustamente - se quei mostri sono ‟piemontesi”, ‟lombardi”, ‟padani”. Umberto Eco ci metteva in guardia da questo sciovinismo spicciolo già da studenti, affibbiare agli assassini di Tommaso uno stigma etnico nasconde paura, il male è colpa di ‟altri”, straniero. Invece il male è tra noi, nord e sud, ricchi e poveri, cittadini e campagnoli. Ne hanno chiesto conto ai due leader, Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Il premier ha accusato la magistratura che libera criminali con facilità, anche se di solito la critica per gli arresti facili. Prodi ha ribadito che la pena di morte è ‟fuori dalla nostra cultura”. Ricordo quando la invocò Ugo La Malfa, il giorno livido del rapimento di Aldo Moro, ricordo la caccia indegna al musicologo gentile Massimo Mila che discusse di pena capitale e passò per boia. L’America mi ha insegnato che, prima di essere immorale e contro la Costituzione, la pena di morte non fa da deterrente contro il crimine, intasa i processi e può giustiziare innocenti. In galera chi perseguita i bambini ha lunga, dolorosa, pena, forse peggiore del capestro. Poi Tommaso è uscito dal dibattito, s’è parlato di tasse e per una volta il fisco appariva stavolta soave. Berlusconi annuncia l’abolizione dell’Ici che gli economisti, responsabili, del Polo sanno impossibile. Prodi è incalzato sulle tasse, insegue numeri e cifre, sa che il tema è ostico. Il populismo del governo scommette su un’Italia che detesta le tasse e non vuole che ‟il figlio del borghese” sia uguale al ‟figlio dell’operaio”. La Costituzione promette il contrario, grazie alla scuola andrebbero rimossi gli ostacoli alla promozione sociale. Ma la sinistra soffre di una cronica sindrome elitista (non ‟etilista”, dopo le accuse reciproche di alcolismo), parla di tasse come a un seminario ad Harvard con Spaventa, Alesina e Summers a dibattere tra secchioni Phd di aliquote su, aliquote giù, Pil, Gdp, quota commercio mondiale da 4,6% a 2,7%, flat tax! Tra populismo e dialettica accademica vive il popolo degli elettori comuni. Se i sondaggi verranno confermati e Prodi vincerà, la sua coalizione dovrà ringraziare il loro buon senso e Berlusconi deprecare di averlo trascurato. Al prossimo Titanic sapremo chi ci governerà, le chiacchiere staranno a 0, quelle dei politici e quelle di noi giornalisti. Ci addenterà la realtà, dalla violenza che ha reclamato Tommaso al mondo globale davanti al quale ci ritraiamo spaventati. Non c’è tempo per lo spumante, dovremo metterci al lavoro in fretta, insieme, classe dirigente senza spocchia, gente comune attenta a costruire per i figli, non solo per i padri. Non è troppo tardi, come insegnava un eroe ‟di origine siciliana”: ‟Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli, le pressioni. Questa è la base della morale umana”.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …