Paolo Andruccioli: La Cgil delude Confindustria

24 Giugno 2005
La Cgil delude la Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo. L'avvicinamento era scattato un anno fa, a Serravalle Pistoiese, dove il presidente degli industriali e il segretario generale, Guglielmo Epifani, si erano trovati in perfetta sintonia sulle questioni del declino. Poi, però, non è successo più nulla. Lo scopre Roberto Napoletano, vicedirettore del ‟Sole 24 ore”, che nell'editoriale di ieri accusa la Cgil di aver fatto dei ‟passi indietro”. Se le cose non vanno, la colpa, come al solito, è del sindacato. E in particolare della Cgil, questo sindacato che si ostinerebbe a perpetrare la linea del diniego, che pretende persino di distinguere tra flessibilità e precarietà e che cerca disperatamente di fissare un punto di discrimine tra i beni pubblici e gli interessi privati.
Peccato, dice Napoletano, che in Italia non esistano più sindacalisti come Giuseppe Di Vittorio, che negli anni Cinquanta, pur di creare posti di lavoro, è stato disponibile a cedere quote di salario degli operai, che lo applaudivano, sapendo che lavorava comunque per i loro interessi.
Napoletano parla di passi indietro, ma il ‟Sole 24 ore” di ieri su cui ha scritto, ci ha riportato indietro improvvisamente ai tempi del presidente D'Amato, quelli di una Confindustria chiusa, intenta a perseguire un unico obiettivo: la riduzione dei costi (del lavoro). La Cgil sarebbe dunque vecchia, ma non abbastanza antica, perché non avrebbe più le capacità tattiche di uno come Di Vittorio. Ed è Epifani che delude maggiormente perché «è il primo segretario socialista». Evidentemente, da un socialista, gli industriali si aspettano solo disponibilità al cedimento, aperture a trattare di sacrifici. Eppure Napoletano sa molto bene - visti i suoi tanti libri sull'argomento - che l'Italia di oggi non c'entra quasi più nulla con il Paese che si apprestava a entrare nella vorticosa fase del neocapitalismo e del boom economico. Un esperto di «zavorre» come lui, dovrebbe sapere che il quadro di oggi è di tutt'altro genere ed è veramente deprimente scoprire che c'è ancora chi crede alla possibilità di avviare una vera ripresa sulla base del taglio dei costi, dei salari da fame, dei contratti aleatori. Che c'entra quindi l'accusa alla Cgil di non voler discutere di modelli contrattuali?
La nostra impressione, però, è un'altra. Temiamo che le accuse lanciate ieri siano piuttosto il sintomo di una nuova battaglia interna nelle fila degli industriali in vista di un possibile (ma nientaffatto scontato) cambio di guardia politico. Sono gli industriali italiani che rischiano di fare un grosso passo indietro: vorrebbero tornare sulle barricate, perché non hanno uno straccio di idea sul futuro. I più bravi tra loro (o i più furbi) hanno scelto la via comoda degli investimenti sicuri. Invece di scommettere sulla ricerca e il nuovo ci si butta più facilmente sui settori protetti e sulle varie rendite di posizione.
Il sospetto è che in Italia non manchino i sindacalisti moderati, ma piuttosto gli industriali capaci. E' strano il mondo: Napoletano rimpiange Di Vittorio, mentre dovrebbe rimpiangere Adriano Olivetti, l'industriale che nel 1955 disse ai suoi operai: c'è un nuovo settore dove dovremmo entrare, il calcolo elettronico.
Ma allora nessun ministro, nessun sottosegretario e nessun collega industriale osò scommettere sulle sue idee. E poi ci lamentiamo che Bill Gates è americano.

Paolo Andruccioli

Paolo Andruccioli (Roma, 1955) scrive sulla pagina economica del quotidiano "il manifesto", è stato caporedattore dello stesso giornale e direttore responsabile della rivista di dibattito politico-teorico "Il Passaggio" e della …