Paolo Andruccioli: Welfare. Pubblico è meglio

01 Luglio 2005
Il Rapporto sullo stato sociale in Italia, che è stato presentato ieri a Roma nella sede della Facoltà di Economia della Sapienza, ha tre meriti fondamentali. Il primo: offre un quadro completo e sintetico dello stato sociale e delle modificazioni della spesa pubblica, dovute all'andamento incerto della crescita economica, ma soprattutto all'intervento della politica (i primi effetti delle riforme previdenziali, per esempio). Il secondo: sulla base di rigorose analisi tecniche, contribuisce a sfatare parecchi luoghi comuni che hanno imperversato nel dibattito. La figura mitica della «gobba» delle pensioni, risulterebbe per esempio in discussione, perché la spesa previdenziale risulta ancora in equilibrio anche se continuamente sul filo del Pil. Più che dalla demografia dipenderemo quindi dal tipo di crescita economica e dall'integrazione dei lavoratori immigrati. Terzo merito: le proposte del Rapporto costituiscono di fatto un rilancio politico dell'idea stessa di welfare. Lo scenario futuro non è per nulla scontato, come non lo sono gli esiti finali delle riforme (compresa l'ultima di Maroni). Paradossalmente le riforme potrebbero avere un esito opposto alle intenzioni, mentre il sistema della previdenza complementare conferma le sue attuali debolezze, soprattutto per quanto riguarda la sua generalizzazione e la portabilità. Dagli studi del Rapporto (la cui parte previdenziale è stata curata tra gli altri da Angelo Marano) l'unica cosa certa sembra essere il rovesciamento tra le due sostenibilità. L'annosa questione della sostenibilità finanziaria dei sistemi previdenziali lascerebbe infatti il posto al problema della sostenibilità sociale, visto che sulla copertura reale della pensione pubblica per milioni di lavoratori, soprattutto giovani, siamo ormai all'allarme: stiamo costruendo una società di nuovi poveri.

Ritorno al passato
Curato da Roberto Pizzuti, che si è avvalso della collaborazione di un gruppo molto qualificato di studiosi del Dipartimento di economia pubblica e del Criss (centro di rircerca interuniversitrio sullo Stato sociale), il Rapporto descrive i cambiamenti sia in termini quantitativi, sia qualitativi e rilancia l'idea di welfare come motore di sviluppo, oltre che come sistema per contrastare le diseguaglianze dilaganti (vedi l'articolo di Roberta Carlini in questa pagina). Confrontando le cifre italiane con quelle degli altri paesi dell'Unione europea, l'immagine principale che si ottiene è però un welfare che si ritira. Ma anche questo non è un fenomeno in bianco e nero, perché ci sono anche molti ripensamenti e inversioni di tendenza. Nell'Unione a 15 le prestazioni sociali hanno registrato una lievi ripresa già dal 2001. Il vento neoliberista non soffia più come una volta, ma noi italiani siamo in ritardo anche sui ripensamenti. L'Italia - al contrario di quello che sostiene la propaganda della destra - continua a spendere meno degli altri in termini di prestazioni. La nostra spesa sociale procapite che nel 1993 era superiore del 7% alla media europea, nel 2001 risultava inferiore del 20%. E la decrescita continua.
Contano le cifre: negli ultimi due anni la spesa sociale italiana (pubblica e privata) commisurata al Pil è ritornata ai valori che aveva nel 1993, ovvero 25,2%. Il punto minimo si è toccato nel 1996, dopo la grande campagna per la riduzione del peso del welfare, con il 23,9%. In particolare l'effetto delle riforme previdenziali è stata la riduzione della spesa per pensioni. Dal 1995 la spesa previdenziale si è infatti ridotta di tre punti.

I soldi per la sanità
La sanità è un altro punto critico della spesa del welfare. In Italia la spesa pubblica rapportata al Pil, che era scesa dal 6,5% del 1991 fino al 5,3% del 1995, è tornata poi a crescere (al contrario della spesa previdenziale) e ora, nel 2004, è ritornatata ai livelli del `91 con il 6,6%, in termini assoluti questo vuol dire che spesa per il Servizio sanitario nazionale si è attestata sugli 89,65 miliardi di euro, il che corrisponde a una spesa procapite di circa 1540 euro, con un incremento rispetto al 2003 di circa il 10%.
Nel settore della sanità pubblica sono due i fenomeni che stanno diventando centrali. Il primo riguarda il rapporto tra pubblico e privato, considerando nel privato anche il non profit. Il secondo fenomeno è di grande attualità politica e riguarda il finanziamento. Ci sono infatti notevoli incongruenze tra la spesa prevista e i metodi reali per finanziarla. A seguito dell'abolizione del Fondo sanitario nazionale (Dlgs del 2000), i proventi per la sanità derivano oggi dall'Irap e dall'addizionale Ire, oltre che dalle compartecipazione all'Iva e alle accise. Ci sono poi i ricavi delle entrate delle Regioni, nonché integrazioni residuali. Nel 2003 dall'Irap si è ricavato quasi il 42% della spesa e dall'Ire il 43%. E' ovvio che il taglio dell'Irap e le varie manovre sull'Ire incideranno pesantemente già dall'anno in corso. Dove si troveranno i soldi per la sanità?

L'ipocrisia della formazione
L'ideologia del «flessibile è bello» si è basata sulla molteplicità dei lavori da cambiare nel corso della vita. Presupposto è l'istruzione e il sistema della cosiddetta formazione permanente. Il dato più positivo in questo campo riguarda l'avvio dei Fondi interprofessionali per la formazione continua. Sono stati destinati parecchi soldi a questo sistema, che però non ha ancora avuto il suo rodaggio. Per ora, dunque, quello che risulta è il ritardo clamoroso dell'Italia, sempre in confronto con gli altri paesi europei più avanzati, sia in termini di formazione dei lavoratori che devono cambiare lavoro, sia più in generale in termini di istruzione. Il tasso di scolarizzazione italiana risulta uno dei più bassi in Europa. In Italia il 38% circa della popolazione non è andato oltre l'istruzione dell'obbligo.

Il welfare che verrà
La tesi principale di questo Rapporto 2005 riguarda il ruolo dello stato sociale, che non solo è ancora indispensabile (anzi serve più di prima), ma può fare molto per rimuovere le cause del ritardo del sistema economico. Punti concreti che si individuano: ricerca, istruzione, formazione per puntare sul «capitale umano». Le istituzioni del welfare devono poi rafforzare gli ammortizzatori sociali e le reti di sicurezza. Infine lo stato sociale deve fornire le garanzie per la realizzazione di un nuovo patto tra le generazioni in campo previdenziale.

Paolo Andruccioli

Paolo Andruccioli (Roma, 1955) scrive sulla pagina economica del quotidiano "il manifesto", è stato caporedattore dello stesso giornale e direttore responsabile della rivista di dibattito politico-teorico "Il Passaggio" e della …