Gianni Riotta: La strategia contro il terrorismo. Vincere la guerra e la pace

22 Luglio 2005
La battaglia delle idee, si dice, è cruciale per vincere la guerra al terrorismo. Giusto: ma qual è la corretta strategia in uno scontro campale dove le teorie contano quanto le armi? Come misurare trionfi e sconfitte?
Per comprenderlo, dobbiamo fare un passo indietro, guardando più alla storia che alle cronache. Se ci lasciamo ipnotizzare dagli argomenti in contrasto oggi, chi parla di multiculturalismo e tolleranza, chi teme invece lo scontro di civiltà, chi si affida all’intervento armato, pensiamo che una linea di condotta possa prevalere sull’altra in modo assoluto. E i contendenti infatti si danno, striduli, sulla voce, i giornali inglesi che indicano nella campagna in Iraq la responsabilità per la strage di Londra, i canali di destra Usa, tipo Fox, persuasi che gli europei siano tutti imbelli. Gli epigoni delle due trincee, in Italia, fanno un po’ da pappagalli.Se invece provate a guardare lo scontro da lontano, come facevano i generali del passato per non essere confusi dalla mischia, la prospettiva muta. Ripensate alla battaglia di idee delle elezioni politiche del 1948, il fronte delle sinistre contro la Democrazia Cristiana. Allora il duello sembrò all’ultimo sangue, vincere o morire, solo uno dei contendenti poteva restare sul campo. E la storica vittoria della Dc di Alcide De Gasperi confermò il buon senso del popolo italiano, con il Paese nettamente schierato in campo occidentale. Eppure, la forte presenza delle sinistre permise ai lavoratori, in fabbrica e nei campi, di non sentirsi alienati dalla Repubblica, smussò le tentazioni violente, educò alla democrazia generazioni di emarginati. Visto oggi, il verdetto elettorale del 1948 appare di saggezza straordinaria, un equilibrio perfetto di governo e opposizione che porta in 15 anni il Paese dalla sconfitta in guerra al miracolo economico.
Vedete? La battaglia delle idee non è un gioco a somma zero, vinco io perdi tu, è possibile che tutti i contendenti vincano e con loro la comunità. Allora rileggete il saggio che Ian Buruma ha pubblicato ieri sul ‟Corriere”: inutile dire ‟mai guerra”, se la guerra può fermare il genocidio a Srebrenica o dare scacco alle orde di Al Qaeda. Altrettanto inutile, però, illudersi che la campagna contro il terrore possa vincersi senza dialogare con il mondo islamico, contendendo una per una le anime alla propaganda estremista salafita che, dai siti Internet inglesi alle madrasse in Pakistan, arruola kamikaze. Lasciate che i faziosi si agitino a parole, da una parte o dall’altra, ma non imitateli. I maestri della strategia, Sun Tzu, il principe Eugenio, Churchill, insegnano che la serenità d’animo è la prima virtù di chi sa vincere la guerra e assicurare la pace che ne segue. Se guardiamo al presente come faranno i nostri figli, vediamo che ci saranno luoghi di azione militare, speriamo brevi e circoscritti. E ci sarà allo stesso tempo una lunga contesa morale, di valori e fedi, dove, come sempre, chi impugna giustizia e libertà prevarrà su chi ha scelto violenza e oscurità.Il nemico che fronteggiamo sta provando a ottenere armi di sterminio di massa, nucleari, chimiche e biologiche, e sterminare la coesistenza e le differenze culturali, in Occidente come nell’Islam, la humma.
Quando sarà finita, e non ci vorranno pochi anni, vedremo che le armi saranno servite e la forza avrà avuto le sue occasioni di intervento, ma anche la tolleranza, l’integrazione e il confronto saranno leve indispensabili. Non curatevi dunque delle polemiche e della propaganda, guardate alla sostanza e distinguerete le ragioni migliori, capaci di dar frutto a lungo.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …