Paolo Andruccioli: Riforma e burletta. Le regole per il governatore, il prossimo

05 Settembre 2005
Una volta la politica era un'arte. Ora sembra un gioco di prestigio (senza offesa per i prestigiatori). Ieri il governo Berlusconi è riuscito a varare una riforma della Banca d'Italia che non interviene su nessuno degli aspetti considerati fondamentali non solo dagli esperti e dagli studiosi, ma anche da noi, cittadini normali. I punti varati da palazzo Chigi con una certa sofferenza e con un notevole battage pubblicitario (scontri e finti scontri, alleanze trasversali, ripensamenti dell'ultim'ora), non dicono nulla su Antonio Fazio, il governatore forse più discusso della storia della Banca. Si potrebbe dire che questo è un fatto positivo perché il problema non è l'uomo, ma le regole. Ebbene neppure sulle regole la riforma di ieri è innovativa, dato che la famosa vigilanza sulla concorrenza bancaria che tutti avrebbero voluto trasferire da Palazzo Koch all'Antitrust rimane saldamente nelle mani della Banca d'Italia. L'unica cosa un po' nuova, sulla scia di quello che ci hanno suggerito dall'estero, è il passaggio della proprietà dalle banche azioniste allo Stato. Ma anche su questo processo ‟graduale” c'è molto da chiarire. I professori sono interdetti. Per Marcello Messori, è difficile parlare di riforma, visto che l'unico artificio che poteva essere introdotto per salvare in qualche modo la faccia era quello del limite di età, cosa che non è stata fatta. Per Nicola Rossi, più che una riforma sembra una burletta. Sulle regole serie non si dice assolutamente nulla. Ma se non si cambiano le regole con le riforme, allora si fanno solo delle chiacchiere. Interdetti i sindacalisti. Il governo è riuscito a non risolvere nessun problema, spiega Beniamino Lapadula della Cgil. Non si risolve così il problema Fazio perché la regola dei sette anni come limite per il governatore vale - come ha voluto precisare subito lo stesso Berlusconi - solo per il prossimo governatore. Le leggi non si fanno per essere retroattive. E quindi il governo spera che sia lo stesso Fazio, ora, a farsi da parte. Ma l'uomo, come abbiamo visto, è molto ostinato ed è probabile che consideri quel testo uscito ieri da Palazzo Chigi come un nuovo contratto. Un contratto a tempo, ma pur sempre un contratto. E più che un miracolo, quello di San Silvio sembra, agli occhi del coordinatore della Fabi, Angelo Maranesi, il solito giochetto da illusionista.
I politici hanno reagito in modo prevedibile e anche imprevedibile. La Margherita non è contenta del topolino partorito dal governo. Enrico Letta è scontento. Giaretta scopre che il miracolo di San Silvio, a differenza di quello di San Gennaro, non si è realizzato. Forse era tutta una messa in scena per salvare il Governatore, molto utile in fase pre-elettorale, soprattutto dopo il famoso patto dello Sciacchetrà, il vino ligure che allietò la cena riappacificratrice tra Silvio Berlusconi e Antonio Fazio.
E' sicuramente importante che il governo abbia scelto di fare qualcosa, come ha riconosciuto ieri anche il leader dell'Unione, Romano Prodi. Ma è anche evidente che i problemi non vengono affatto risolti con quel testo che dovrà essere riportato al luogo naturale di discussione, ovvero in Parlamento. E in Parlamento i dubbi sono più delle certezze. Per Giorgio Benvenuto, per esempio, il testo rischia di complicare i problemi piuttosto che risolverli. E la cosa più sorprendente di tutte, secondo il parlamentare diessino, è che dalla fretta si è passati alle ‟calende greghe”.
Un altro parlamentare, questa volta di Rifondazione comunista, Alfonso Gianni, spiega che il testo di ieri è comunque il segno che qualcosa si sta muovendo. Nel mondo non esistono cariche a vita per nessuna istituzione, figuriamoci se potevamo conservarla noi per Fazio. La riforma non dice nulla però su questo e spetterà alla sensibilità democratica del governatore rimettere il suo incarico appena sarà varata la nuova legge. Il nodo vero, o meglio uno dei nodi veri che rimangono ben ingarbugliati, riguarda la proprietà della Banca. Gli azionisti privati, le banche, dovranno uscire dal pacchetto di controllo. Al loro posto un grande ritorno: lo Stato. Ma come succederà il tutto? Assistiamo a un parodosso molto divertente. Il governo più liberista della storia recente dell'Italia è costretto a nazionalizzare la Banca. Certo non sarà l'Iri. Ma è pur sempre controllo pubblico. Dalle partecipazioni statali alla Banca centrale a partecipazione statale.
Ma anche su questo punto stiamo molto attenti ai dettagli. Prestigiose testate internazionali come il ‟Financial Times” e ‟l'Economist” ci hanno spiegato in questi giorni che uno dei peggiori conflitti di interesse in Italia è proprio la Banca d'Italia che è composta dalle banche azioniste che poi dovrebbero essere controllate. Dunque il passaggio sulla fine dell'azionariato ‟privato” dovrebbe essere l'unica cosa veramente positiva di questa riforma di fine estate. E invece c'è chi ce la smonta. Ci si sta preparando a discutere un falso problema, spiega Corrado Passera, ad di Banca Intesa. ‟Le banche non controllano niente di Banca d'Italia che è completamente autonoma”. Maroni stavolta è d'accordo con Siniscalco. Siamo alla svolta. Chissà se hanno ragione. Ieri non ci ha creduto neppure la borsa. I titoli delle banche sono rimasti fermi.

Paolo Andruccioli

Paolo Andruccioli (Roma, 1955) scrive sulla pagina economica del quotidiano "il manifesto", è stato caporedattore dello stesso giornale e direttore responsabile della rivista di dibattito politico-teorico "Il Passaggio" e della …