Paolo Andruccioli: Il governo inciampa anche sul Tfr

06 Ottobre 2005
Maroni esce a mani vuote dalla riunione di palazzo Chigi e annuncia pesanti ritorsioni politiche nel caso in cui la sua riforma della previdenza complementare venisse cestinata definitivamente dal parlamento. Il ministro del welfare e i suoi collaboratori più stretti sono rimasti ieri completamente spiazzati dalla riunione dell'esecutivo. Solo il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, ha scelto di non votare. Al momento decisivo il premier si è alzato ed è andato a bersi un prudente cappuccino. Maroni è deluso e sorpreso. Molte erano infatti le difficoltà della vigilia, che erano state anche complicate dal parere delle due commissioni parlamentari, un parere che si è messo di traverso rispetto alle osservazioni che 23 associazioni imprenditoriali e sindacali, Cgil, Cisl, Uil comprese, avevano presentato al ministro, che si era detto pronto a recepirle. Ma il ministro non si aspettava un esito così negativo. Il governo Berlusconi, in pratica, non gli ha dato fiducia e ha preferito scaricare in tutta fretta la patata bollente alle camere. La patata, infatti, scotta e scotta parecchio, visto che in gioco ci sono miliardi di euro che dovrebbero transitare dalle casse delle imprese, o meglio dalle tasche dei lavoratori, alle casse delle banche, delle assicurazioni e dei fondi pensione. Si calcola che il giro di soldi legato al trasferimento delle liquidazioni ‟maturande” ai fondi pensioni equivale a più di 13 miliardi di euro l'anno. Ma non si tratta, come è ovvio, solo di una questione di soldi, di tanti soldi. Si tratta piuttosto di un vero e proprio scontro di poteri (economici) che rischia di consumarsi, se non verrà governato, sulla pelle di milioni di lavoratori che non avranno mai la pensione o che percepiranno rendite molto basse alla fine della loro carriera. Tutte le stime parlano infatti di un crollo delle pensioni pubbliche nei prossimi anni (a partire dal 2010) al 40-50% dell'ultima retribuzione.
Una faccia dello scontro che si è consumato ieri la si deve andare a cercare per esempio nel contrasto tra la linea del sindacati confederali (che fino a ieri marciavano in sintonia con la Confindustria di Montezemolo) e quella imposta dalla banche e dalle assicurazioni. Sia l'Abi, l'associazione delle banche, sia l'Ania, non avevano infatti condiviso le osservazioni dei sindacati e degli industriali al testo del ministro Maroni. In particolare banche e assicurazioni si battono per la totale equiparazione di fondi e polizze e per la limitazione del sistema di agevolazioni al credito per le imprese che rinunceranno al Tfr. Lo scontro è dunque molto violento e ha sorpreso anche il presidente della Covip, la commissione di vigilanza, Luigi Scimia. Tra l'altro la Covip, come le altre authority sono messe molto alle strette anche dalla legge finanziaria per il 2006, che prevede un taglio dei finanziamenti.
Botta e risposta, ieri pomeriggio, tra la Cgil e l'Abi. Le banche infatti negano di avere una qualche responsabilità nel blocco del decreto. L'Abi ci tiene a precisare di aver firmato con il governo il protocollo per lo smobilizzo del Tfr e di voler sostenere il decollo dei fondi pensione, «per la creazione di una robusta previdenza complementare e per un supporto alle imprese e ai mercati finanziari». Replica Morena Piccinini, segretaria confederale della Cgil. «I mercati finanziari - sostiene la sindacalista - non hanno bisogno di essere supportati. Sono i lavoratori, piuttosto, che devono essere tutelati». Ed è anche Beniamino Lapadula, responsabile economico della Cgil, che fa notare un particolare: è stato lo stesso ministro Maroni a spiegare il rinvio di 30 giorni per la pressione delle assicurazioni.
Tutti i sindacati sono comunque indignati. Il segretario confederale della Uil, Adriano Musi, parla di una scelta vergognosa da parte del governo.
Ora i sindacati confederali dovranno decidere la linea da adottare, mentre la decisione finale slitta oltre la fine del mese. Il decreto attuativo della riforma varata l'anno scorso scade infatti oggi, 6 ottobre. Se non si dovesse raggiungere un compromesso, la riforma scavallerebbe di due anni.

Paolo Andruccioli

Paolo Andruccioli (Roma, 1955) scrive sulla pagina economica del quotidiano "il manifesto", è stato caporedattore dello stesso giornale e direttore responsabile della rivista di dibattito politico-teorico "Il Passaggio" e della …