Guido Olimpio – Paolo Biondani: Abu Omar. La trappola di Mister C.

04 Luglio 2005
È appena trascorsa l’estate 2003, gli esploratori della Cia hanno trasmesso nuove informazioni su Abu Omar al Ctc, il Counter terrorism Center, il cuore della lotta ad Al Qaeda. È allora - sostengono fonti americane aggiungendo dettagli a quanto rivelato dal ‟Washington Post” - che gli americani contattano gli italiani chiedendo cosa pensano della possibilità di un sequestro. Colloqui tra 007, tra ‟tecnici”. La Cia, affermano le medesime fonti, propone un’azione che ricorda ciò che è stato fatto nei confronti di due egiziani in Svezia nel dicembre 2001: gli italiani fermano l’imam, lo conducono in un aeroporto - magari la base di Aviano - dove è in attesa un jet della Cia. Poche ore dopo Abu Omar si risveglia al Cairo. Il progetto, però, suscita perplessità e i responsabili della nostra intelligence preferiscono restarne fuori. Gli americani insistono, vogliono Abu Omar e chiedono un via libera politico. Per un paio di motivi: è la prassi della Cia informare il governo amico; non vogliono avere grane tecniche.Dalla nostra intelligence - è la ricostruzione statunitense - il messaggio passa, attraverso canali riservati, ai vertici politici per ottenere una luce verde. E, in modo informale, da Roma sarebbe venuta una risposta pilatesca: ad Abu Omar dovete pensarci voi, non vogliamo coinvolgimenti diretti. Non è una autorizzazione formale, ma neppure un’opposizione.
Da chi viene il via libera? La Cia parla di «alti funzionari” dei servizi, altre fonti invitano a guardare molto più in alto.Il Ctc passa il dossier alla Divisione operazioni dell’intelligence. La procedura, adottata per la maggior parte delle ‟consegne speciali”, prevede una sorta di istruttoria. La Cia esamina il ‟file” sottoposto dall’antenna - in questo caso il responsabile in Italia -, consulta degli esperti legali, esamina le opzioni sul campo e quindi attende l’ordine politico. In questo caso, come ha rivelato ieri il ‟Washington Post”, è un alto funzionario del Consiglio di sicurezza nazionale a mettere la firma sul blitz.
In Italia, intanto, gli uomini dell’intelligence americana sono al lavoro. E di nuovo le nostre fonti confermano che è il responsabile della Cia a Roma, che identificheremo con la lettera C, a premere perché si esegua la missione. Con grande efficacia il ‟Washington Post” sostiene che attraverso il rapimento vuole ‟aggiungere una tacca” al suo cinturone. L’agente C è definito da chi lo ha conosciuto ‟un burocrate dell’intelligence”, pronto a sostenere le azioni muscolose dell’Agenzia. Il clima internazionale lo aiuta. L’invasione dell’Iraq è imminente, c’è il timore di ritorsioni di Al Qaeda, gli ambienti integralisti sono in fermento.
A Washington i falchi vogliono usare gli artigli e Abu Omar, come le intercettazioni dimostrano, sembra conoscere molte cose. In alcuni passaggi delle conversazioni l’imam egiziano fa riferimenti a possibili attentati ed esulta quando altre organizzazioni compiono stragi. Per l’agente C è il bersaglio perfetto. Così compie diversi viaggi a Milano, vuole sondare il terreno, non si esclude che possa ‟depistare” i colleghi italiani. E si scontra - dicono da Washington - con il responsabile della Cia nel nord, Robert Seldon Lady, uno degli uomini oggi ricercati dalla magistratura. Lady condivide le preoccupazioni per l’attività dell’imam e pensa che vada neutralizzato prima che possa combinare qualche guaio, ma ritiene la soluzione del sequestro azzardata.
L’operazione può risolversi in un disastro - come poi è avvenuto - e rischia di compromettere i rapporti con le forze di sicurezza italiane, che collaborano appieno nelle inchieste sul terrorismo. L’imam è al centro delle indagini, anche se non è seguito nell’arco delle 24 ore, un tipo di ‟filatura” che verrà adottato dalla Digos solo un anno dopo nei confronti di Rabei, terrorista egiziano coinvolto nella strage di Madrid.Da Langley, sede del comando Cia, viene l’ordine di procedere. Tra gennaio e i primi di febbraio l’avanguardia della ‟Special removal unit” mette le tende, si moltiplicano gli incontri. Prima nelle installazioni della Cia a Camp Peary e poi in una base avanzata in Europa, i paramilitari dell’intelligence - i cavernicoli - studiano i dettagli operativi. Da Roma arrivano rinforzi e Lady, come prova l’inchiesta del pm Armando Spataro, coordina la missione. Il suo diretto superiore, l’agente C, sorveglia. L’attesa per il colpo, però, si allunga. Crescono la tensione e lo stress tra gli uomini impegnati. E forse è proprio la lunga preparazione a causare la sequela di errori. Il 17 febbraio Abu Omar viene rapito, il team si disperde, il cerino resta in mano a Lady. Quando la magistratura milanese chiude il caso, è lui il primo a bruciarsi. I suoi amici fanno sapere che presto potrebbe toccare ad altri.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …