Guido Olimpio: Abu Omar è vivo e conferma le torture

29 Giugno 2005
‟Abu Omar è vivo e conferma in pieno le torture subìte”. È Abdelhamid Shari, direttore laico dell’Istituto islamico di viale Jenner a Milano, a confermare che l’imam rapito dalla Cia nel febbraio 2003 è detenuto in una prigione egiziana. Quella di Al Tora sulla Corniche del Cairo, come il Corriere ha rivelato due giorni fa. I familiari di Abu Omar - aggiunge Shari - hanno la possibilità di visitarlo ogni sette dieci giorni: l’ultima volta pochi giorni fa. L’imam è provato per quanto ha patito in cella e le tracce delle sevizie ‟sono visibili sulla sua pelle”.
Nei colloqui il dirigente della Gamaa Al Islamya sequestrato in Italia è attento a quello che dice. Perché se esce un articolo sul suo caso - precisa Shari - i poliziotti egiziani gli somministrano razioni di randellate. Strano, davvero, il comportamento del Mukhabarat ( polizia segreta) e dell’Amn Al Dawla, la Sicurezza di Stato egiziana. Anzi, per certi aspetti, misterioso. Prima accettano di ‟ricevere” l’imam dalla Cia, lo chiudono in prigione e lo torturano. Nulla di sorprendente, in quanto in Egitto hanno subìto lo stesso trattamento decine di estremisti vittime di extraordinary rendition , le consegne speciali. Lo ha ammesso - negando però le torture - lo stesso governo in una nota a una agenzia di stampa internazionale. Ma quello che non torna è la liberazione dopo quasi un anno di Abu Omar ( poi tornato in cella). Le porte del carcere si aprono e l’imam viene ammonito a mantenere il silenzio su quello che gli è successo. Troppo semplice.
Negli ambienti dell’intelligence - e non da ieri - ci si interroga per trovare una spiegazione. Sul tavolo, tre dossier. Il primo è quello ufficiale: Abu Omar viene liberato perché ha convinto gli egiziani di aver rinunciato alla lotta armata. In questo caso l’imam ha imitato altre vittime delle rendition . In realtà Abu Omar - spiega il suo amico Mohammed Reda - ha finto di cambiare idea. Negli atti dell’inchiesta italiana si precisa che il rilascio rientra in un più ampio negoziato tra il governo cairota e le formazioni oltranziste, affinché depongano le armi. E nella partita è incluso il rientro di esuli, delle famiglie e dei resti di Anwar Shabaan, storico leader spirituale della comunità islamica milanese ucciso dai croati durante la guerra in Bosnia. Lo ‟scambio” , però, non spiega il successivo comportamento dell’estremista. Perché chiama casa e vuota il sacco? Un uomo ossessionato dalla sicurezza come lui non poteva non sospettare che le linee fossero intercettate. Ma fa di più. Chiede alla moglie se durante una perquisizione hanno portato via il computer. Lei risponde di no e Abu Omar è sollevato. Conseguenza: i carabinieri conducono una seconda perquisizione e portano via il pc in via Conte Verde. Il secondo dossier lo potremmo chiamare il ‟fratello che sbaglia” .
Mesi dopo la scomparsa dell’imam un gruppo di investigatori europei è in visita al Cairo. Qualcuno chiede ai colleghi egiziani se hanno notizie di Abu Omar. Gli 007 fingono di non sapere. Poi, davanti alla sorpresa degli occidentali, cercano di spiegare il rapporto che si instaura in Medio Oriente tra apparati di intelligence ed estremisti islamici. Questi ultimi sono nemici da torturare e chiudere nelle segrete di Al Tora quando minacciano, in modo diretto, la sicurezza del Paese. Ma, se mostrano pentimento o complottano contro altri obiettivi, i duri del Mukhabarat possono essere indulgenti. A patto che il presunto terrorista collabori. Se lo fa di sua spontanea volontà evita le sevizie. Se è ‟testardo” ci pensano i carcerieri a fargli cambiare idea. Il terrorista egiziano ha seguito, in parte, questo percorso, violando però la consegna del silenzio. Il terzo dossier è il più sottile e si basa solo su ipotesi. Abu Omar può essere tornato libero in seguito alle rivalità tra Mukhabarat e Amn Al Dawla. Tra gli 007 dei Paesi arabi non mancano i simpatizzanti dei fondamentalisti. Devono stare attenti a non farsi scoprire, se individuati sarebbero spacciati. In qualche caso possono aprire le porte del carcere. Su questa posizione troviamo anche i ‟nazionalisti” . Poliziotti e 007 arabi per i quali la rendition è un’offesa: Washington si serve di loro per lavori sporchi, ma poi accusa l’Egitto perché non rispetta i diritti degli oppositori laici. Un doppio standard poco accettato dai fieri egiziani. Rimettere in libertà l’imam diventa una sottile vendetta. Il prezzo politico per l’Egitto può essere contenuto. Le torture passano in secondo piano e le polemiche si concentrano sui metodi di Washington.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …