Guido Olimpio: Attentato a Londra. Così la “mente” della cellula ha beffato Scotland Yard

20 Luglio 2005
In meno di una settimana Scotland Yard ha scoperto i responsabili della strage. Un bel colpo investigativo. Ma ora, passata l’emozione, è possibile valutare meglio il comportamento dell’anti-terrorismo. E non mancano le sorprese. Ieri il capo della polizia Ian Blair ha ammesso che un personaggio sospetto è passato ‟sotto il radar” delle autorità.
Due settimane prima degli attacchi l’individuo - probabilmente un anglo-pachistano - è entrato attraverso un porto in Gran Bretagna. Il suo nome compariva nella lista delle ‟persone pericolose” ma non è stato seguito ‟perché non era abbastanza in alto nella lista”. Blair ha poi aggiunto che non vi è alcuna prova che si tratti della mente del complotto, come invece sostengono numerosi quotidiani britannici per i quali si tratta di un qaedista. L’episodio resterebbe tale se non vi fosse il secondo elemento di dubbio alimentato da indiscrezioni francesi. Pochi giorni fa il quotidiano ‟Libération” - e il giorno dopo il ministro degli Interni Sarkozy - hanno rivelato che il commando del 7 luglio aveva un legame con il gruppo arrestato a Manchester nella primavera 2004. All’epoca vennero fermati una dozzina di sospetti - tra questi forse Omar Khan, fratello del kamikaze Sidique - e alcuni poi furono rilasciati. L’identica informazione è circolata negli ambienti della sicurezza italiana. Londra ha reagito irritata smentendo tutto, ma i sospetti sono rimasti. E si sono dilatati, nelle ultime ore, con l’emergere in modo sempre più netto della pista pachistana. Il commando di Manchester come la cellula di Londra sarebbero state ‟radiocomandate” da elementi qaedisti basati in Pakistan. Tra i due complotti vi potrebbe essere più di un punto di contatto. Al legame operativo si è aggiunto quello tecnico. Per giorni la polizia ha sostenuto che gli ordigni erano piccoli e fatti con un esplosivo di tipo militare. Ne hanno usato poco - era la spiegazione - perché era molto potente. E subito si sono scatenate teorie su come i terroristi avessero ricevuto il materiale. Tante le piste. Dai Balcani, dal crimine organizzato, dal Nord Africa, dai depositi dell’Ira. Poi, dopo le perquisizioni a Leeds, è emersa un’altra verità. I terroristi hanno impiegato esplosivo artigianale, simile a quello usato in decine di altri attentati e a quello sequestrato a Manchester nel 2004. Quindi c’è una continuità operativa che suscita una domanda: dopo la retata di un anno fa la polizia ha scavato a fondo su quella cellula o ha pensato che gli arresti avessero eliminato la minaccia? La strage del 7 luglio prova il contrario. E, soprattutto, evidenzia la difficoltà nelle indagini sull’euro-jihadismo. Che un addetto ai lavori riassume così: a) Devi combinare un’attività da 007 con il compito del poliziotto. b) Sai che il sospetto può rappresentare una minaccia ma non hai in mano la prova. c) C’è la componente psicologica dell’indagato: dovresti riuscire a entrare nella sua testa. d) C’è l’analisi dell’atteggiamento del sospetto: si comporta da terrorista senza esserlo. e) Devi giustificare davanti ai superiori e magistrati le settimane o i mesi spesi dietro a un estremista: ti chiedono riscontri spesso indimostrabili. A quel punto - mai dimenticare burocrazia, rivalità, costi - è possibile che un’inchiesta venga chiusa.
Il rischio è maggiore con le nuove leve qaediste e Scotland Yard può essere stato ingannato dal profilo ‟basso” dei membri della cellula. Ma l’anti-terrorismo britannico avrebbe dovuto imparare dai precedenti casi. A Istanbul e Madrid gli attentati sono stati messi a segno da militanti in qualche modo conosciuti alla polizia, ma ritenuti non troppo pericolosi. Il sequestro a Manchester di mezza tonnellata di esplosivo artigianale è stato il primo segnale di un attacco imminente. Le ripetute intercettazioni di telefonate tra il Pakistan e integralisti nel Regno Unito il secondo. Le informazioni sui piani trovate nel computer di Mohammed Khan, esperto informatico di Al Qaeda, il terzo. È sulla base di queste informazioni che Londra aveva ritenuto ‟inevitabile” un attentato, ma non è riuscita a impedirlo.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …