Guido Olimpio: Bombe a Londra. Ma l'Iraq non c'entra

19 Luglio 2005
La guerra in Iraq non c’entra nulla con i kamikaze di Londra, anche se chi li ispira la agita come una bandiera. Sarà senz’altro vero che le bugie degli Stati Uniti per ottenere il consenso all’avventura militare hanno solo aumentato il senso d’ingiustizia in molti giovani musulmani. E sarà pure vero che quella guerra era meglio non farla. E che perciò ora è necessario mettere fine alla campagna irachena, richiamando le truppe in base a un calendario preciso. Beninteso: serve un ritiro e non una fuga perché è quello che i terroristi aspettano, pronti a rivendicare la vittoria. Osama Bin Laden lo ha detto tante volte: abbiamo costretto i nostri avversari a scappare, in Libano come in Afghanistan e in Somalia. Ma il punto è che nei programmi degli estremisti islamisti la crisi innescata dall’invasione dell’Iraq è solo un episodio di una lotta iniziata molto tempo prima.
Esaminare l’evoluzione del terrorismo qaedista come fosse una diretta conseguenza di ciò che avviene a Bagdad è un errore. Il progetto di Bin Laden va indietro nel tempo e guarda oltre le rive del Tigri. Lo raccontano le stragi firmate da fazioni che si riconoscono nel disegno di Al Qaeda. La prima azione di frattura è nel febbraio 1993 con l’attacco alle Torri Gemelle di New York: a pianificarlo è il nipote di Khaled Sheikh Mohammed, la mente dell’11 settembre. Passano quattro anni e nel 1997 a Luxor, in Egitto, vengono uccisi decine di turisti europei. Un massacro che fa da spartiacque: da una parte allarga il fronte di lotta dei gruppi locali, dall’altra spinge la componente più radicale del fondamentalismo egiziano nelle braccia di Bin Laden. Nell’estate 1998 i terroristi insanguinano l’Africa con il duplice attacco contro le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania. Al Qaeda dimostra la sua capacità strategica e segnala ai seguaci il modo d’agire: attacchi simultanei con l’impiego di kamikaze. In Medio Oriente sono anni di tensione, ma anche di speranza dopo il primo accordo Israele-Olp. Alla Casa Bianca c’è Bill Clinton, un presidente che in molti rimpiangono. Eppure il terrorismo non legato ad Al Qaeda colpisce per fermare il processo di pace in Medio Oriente mentre gli uomini di Osama preparano la grande azione dell’11 settembre. Bin Laden, da paladino della terra musulmana calpestata dalla presenza di truppe straniere (questa la sua prima dichiarazione di guerra), si trasforma in antagonista dell’Occidente filo-americano. Ma chi segue i suoi sermoni tende, per necessità operativa e motivi legati alle crisi regionali (Algeria, Marocco, Indonesia, Filippine), ad ampliare il terreno di scontro. E attacca luoghi di culto, come l’antica sinagoga di Djerba, falciando turisti tedeschi inermi.
Organizzazioni eversive sono state scoperte anche in paesi - Germania, Francia - che non hanno partecipato alla spedizione in Iraq. Negli ultimi messaggi Bin Laden ha riproposto il baratto: ‟Se non ci attaccate, non vi attacchiamo”, abbracciando l’intero globo. Ha cercato e cerca di influenzare il voto nelle democrazie con il ricatto dei kamikaze. Il suo braccio destro, Al Zawahiri, ha preso di mira le riforme in Medio Oriente sostenendo che l’unica via di riscatto è la violenza. Gli ideologi hanno parlato di riconquista dell’Andalusia e dell’inevitabile caduta di Roma. Forzature propagandistiche? Forse. Ma l’Iraq, accompagnato sempre dall’Afghanistan, in questi documenti è solo una delle tante cause per catturare l’appoggio dell’opinione pubblica musulmana. Come ha sottolineato l’esperto francese Olivier Roy (particolare curioso: in un’intervista al ‟manifesto”) per i terroristi della terza generazione - nati e formatisi in Europa - il riferimento al conflitto ‟è puramente opportunistico”. Fino a ieri si era pensato che per gli euro-jihadisti fosse più importante farsi saltare a Mosul o a Tel Aviv, le bombe di Londra segnano un’altra svolta. Dunque andiamocene dall’Iraq, ma non illudiamoci che la sfida terroristica si chiuda. Nell’agenda qaedista ci sono pagine bianche dove verrà scritto un nuovo obiettivo.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …