Guido Olimpio: Carceri volanti e navi prigione. La flotta top secret degli Usa

30 Giugno 2005
Prigioni volanti, navi trasformate in carceri. Per i detenuti di Al Qaeda non ci sono solo Guantanamo e i cupi penitenziari arabi. Cia e Pentagono dispongono di una miniflotta aeronavale con la quale eseguono le ormai famose ‟consegne speciali” (extraordinary rendition): l’arresto di un sospetto terrorista in un paese terzo e il successivo trasferimento in uno stato amico, dove può essere sottoposto a sevizie.
Nel caso di Abu Omar, gli 007 hanno usato due gioielli dell’aeronautica. Prima un Learjet, sulla rotta Aviano Ramstein, quindi il Gulfstream V usato di solito dai dirigenti della squadra di baseball ‟Red Sox” . Sono velivoli veloci, con una linea e interni eleganti. Poltrone in pelle, divanetti, mobile bar, doccia e impianti di comunicazioni di ultima generazione. Gli aerei fantasma della Cia e dallo Joint Special Operations Command, unità segreta del Pentagono, volano in tutto il mondo per trasferire i prigionieri a Guantanamo, a Bagram (Afghanistan) e in altri luoghi dove Washington ‟deposita” gli estremisti. Secondo il ‟New York Times” gli aerei impegnati in questo tipo di azioni sono almeno 26, in gran parte comprati dopo il 2001. Oltre ai piccoli jet, sono impiegati vecchi Dc 3, quadrimotori Hercules e i Casa 235, bimotori che possono atterrare su piste corte e semipreparate. Altri velivoli sono noleggiati dalla Cia: basta sborsare l’equivalente di 5 mila euro all’ora per avere in uso un Gulfstreamo un Learjet.
Una giornata di lavoro costa quasi 130 mila euro. Tutti pagati dal contribuente. Altri aerei appartengono a compagnie di coperture (come la Premier Executive), quasi tutte registrate nello Stato americano del Delaware: è il caso di un paio di piccoli Gulfstream e di un grosso Boeing 73. E non è per caso che la sede sociale di alcune compagnie sia in realtà un semplice indirizzo postale, privo di telefono, in una cittadina sprovvista di aeroporto. Più o meno quello che capita con l’identità degli agenti impegnati nelle consegne speciali. La loro base di sosta è un hangar in piccoli scali nello stato di New York, quella operativa è l’aeroporto Dulles di Washington. Sulle turbine degli aerei compaiono le sigle di registrazione della Federal Aviation, l’ente federale statunitense. Sono come delle targhe, perché indicano il proprietario del velivolo, l’indirizzo della società, il modello. Ma accade spesso che cambino prima del viaggio. In altre parole lo stesso aereo viene registrato con numeri diversi.
Quello usato per portare Abu Omar da Ramstein (Germania) in Egitto era appunto quello dei ‟Red Sox” . Un vero cavallo del cielo. Ha visitato 51 volte la base di Guantanamo, dove sorge il campo di prigionia per i militanti di Al Qaeda. Ha ‟toccato” l’Italia, ha girato il Medio Oriente facendo tanti di quegli scali da sembrare un bus di linea. Durante le operazioni segrete ha utilizzato due sigle: N227SV e N85VM. Sulle sue poltrone si sono seduti l’imam Abu Omar e, secondo alcune fonti anche George Bush senior, ex presidente ed ex capo della Cia. Il Learjet, invece, aveva probabilmente la sigla Spar 92, che indica ‟special passenger” a bordo e riguarda in genere voli militari. I jet sono attrezzati per compiere lunghe tratte, hanno una buona autonomia e dispongono di sistemi satellitari. Sul Gulfstream V il divano si trasforma in lettino. C’è poi la stazione di lavoro volante: quattro poltroncine, tavolo e computer. Durante il volo gli interrogatori della ‟Special Removal Unit” - il team incaricato della missione - cercano di estrarre le prime informazioni al prigioniero. Un trattamento duro ma che non è nulla se paragonato a quello che verrà riservato al rapito una volta finito in una galera mediorientale.
Oltre agli aerei, il Pentagono fa ricorso ad alcune unità navali. Ieri un consulente dell’Onu in materia di diritti umani ha affermato di aver ricevuto segnalazioni su prigionieri trattenuti a bordo di unità dell’Us Navy. Non si tratta di una novità. In base a nostre informazioni almeno due navi da guerra, la Bataan e la Pelielu, hanno ospitato per periodi ridotti elementi di Al Qaeda. Tra loro anche il famoso talebano Johnny, il giovane americano andato a combattere al fianco degli studenti guerrieri in Afghanistan.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …