Guido Olimpio: Caso Abu Omar. Chi ha coperto Bob, 007 senza limiti?

29 Giugno 2005
Robert Seldon Lady, detto Bob, non ci voleva credere. Ad incastrarlo sono stati quelli che lui ha aiutato per anni a scovare terroristi. Nel mondo delle ombre va così, mai fidarti. L’amico può diventare avversario, specie se violi in modo sfacciato la sovranità di uno Stato. Il mandato di cattura per il sequestro di Abu Omar ha rovinato la pensione a Bob, ex ‟capo antenna” della Cia a Milano. Voleva ritirarsi nella sua villa nell’Astigiano, dove aveva organizzato feste e cene per tanti amici investigatori. Invece ha dovuto fare i bagagli. La sorpresa è stata doppia. Perché la Cia avrebbe informato gli italiani - governo, servizi? - dell’imminente operazione. Un atto non solo dovuto per motivi di opportunità - siamo il migliore alleato - ma anche per ragioni tecniche. Abu Omar era il terrorista più sorvegliato a Milano, quindi c’era il rischio che gli 007 americani potessero essere scoperti durante la ricognizione. E un’altra domanda riguarda il team del sequestro. I mandati di cattura riguardano solo cittadini americani, ma la testimone del rapimento ha parlato di due uomini che fermano Abu Omar ‟parlando in italiano” . C’era qualcuno di ‟locale” al fianco degli agenti Cia? A chi indaga piacerebbe scoprirlo. Intanto i magistrati puntano su Bob, uno che viene dalla strada. Seldon ha iniziato a lavorare al ‟Nypd” , il Dipartimento di polizia di New York, bucando le scarpe a forza di andare a caccia di ladri. Sgobbava sui fascicoli, tormentava gli informatori, li spremeva finché non otteneva quello che voleva. Un’esperienza dura, che ti forma. E Bob, quanto ha imparato nelle strade, se lo è portato dietro nella ‟Company” , la Cia. Essendo nato a Tegucigalpa ( Honduras) - il 2 febbraio 1954 - conosce lo spagnolo alla perfezione, un motivo in più per mandarlo in missione in Centro America. Un teatro d’operazioni particolare. Lo 007 si muove tra regimi dispotici, corruzione, movimenti di guerriglia. Gli piace l’azione, gli piace l’aria che si respira. Si infiltra in un gruppo d’opposizione e riesce a controllarlo a distanza: gridano morte ai gringos, ma non sanno che è un Amerikano con la K a consigliarli. Sono missioni dove l’elemento umano conta più di quello che ti hanno insegnato a Langley, la sede della Cia. Un’ora in una posada a scolarsi birre ghiacciate e a fumare sigari con una fonte vale più dei cablo che arrivano da Washington. Troppo lontani da quello che c’è in strada. Eppure Bob, come altri suoi colleghi, non può sottrarsi alla soffocante burocrazia dell’intelligence. Le regole, fondamentali in apparati delicati, non danno garanzie di sicurezza. Raccontano che Bob sia stato smascherato - ‟bruciato” in gergo - dalla più grande spia che il Kgb ha piazzato nella Cia: Aldrich Ames. Alto dirigente dell’Agenzia, con grande bisogno di denaro per accontentare l’amante sudamericana, tradisce svelando aMosca una montagna di segreti, tra cui identità e ruoli degli 007 in America Latina. Quando lo scoprono, nel 1994, Ames ha già fatto danni devastanti. La Cia incassa il colpo, però non può sacrificare l’esperienza di Bob e dei latinos, gli uomini che faticosamente ha impegnato nella parte sud del continente americano. In tanti passano in Europa e soprattutto in Italia. Bob, diventato nel settembre 2000 capo della sezione Cia a Milano, non fatica a creare un rapporto di fiducia con i nostri investigatori. Chi lo ha conosciuto lo racconta ‟mai superbo, sincero” . Non è sfuggente, da buon sbirro va subito al sodo. ‟È uno 007 - afferma un poliziotto - . Ma non spunta all’improvviso dietro gli angoli” . A Milano ha la classica copertura di console, o meglio questo è quello che c’è stampato sul biglietto da visita. Ma non vive da diplomatico. Molte delle inchieste sul terrorismo integralista hanno successo grazie al suo aiuto. Una collaborazione tecnica. Microspie così piccole da essere nascoste in un Corano, ‟cimici” alimentate da batterie al litio che durano un’eternità. Attraverso Bob arrivano foto, nomi, tracce elettroniche lasciate dai telefoni satellitari in Kurdistan, Afghanistan, Iran. Per l’intelligence statunitense Milano è un avamposto di Al Qaeda e Abu Omar è l’emiro. Servizi italiani e americani lo seguono sin dall’epoca dell’Albania, dove era stato coinvolto in un’inchiesta su un complotto per distruggere l’ambasciata Usa a Tirana. Lo ritrovano a Milano impegnato a reclutare kamikaze. La Cia decide di farlo sparire alla vigilia della guerra del Golfo, perché teme possa organizzare una rappresaglia contro un obiettivo Usa. È Bob che prepara la trappola con l’aiuto dei ‟cavernicoli” , la squadra rimozione mandata da Langley e un gruppo di donne 007, scelte perché danno meno sospetti. Abu Omar finisce in un carcere egiziano e Bob lo segue perché deve assistere ai primi terribili interrogatori, accompagnati da sevizie e torture. La Digos individua il suo cellulare al Cairo qualche settimana dopo il sequestro. È una delle prove che gli agenti hanno seminato senza badare a cancellarle perché pensano di avere carta bianca. Infatti quando trapelano le notizie sull’indagine Bob reagisce: ‟Che vengano a prendermi...” . Come dire: potrei raccontare tante cose. Non lo sfiora l’idea che ha violato la legge, non si preoccupa del pasticcio diplomatico. Prova anche a rimanere nella sua casa di campagna e si trova una consulenza nel settore sicurezza. Ci sono le Olimpiadi invernali in arrivo. Dalla ‟fabbrica” , il comando, però fanno pressioni. Bob si sente tradito. E con lui i poliziotti italiani che lo stanno cercando.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …