Guido Olimpio: Iraq. Sul tavolo delle trattative il futuro degli ex gerarchi

29 Giugno 2005
Pochi giorni fa, postazione americana in una zona infestata dai ribelli. Parte una salva di mortaio, i soldati corrono a ripararsi ma non serve. Il fuoco non è diretto contro la base, bensì verso un quartiere tenuto da una banda di guerriglieri. Gli insorti si sparano tra di loro e non è la prima volta. L'episodio, pur senza enfatizzarlo, ha un suo significato perché conferma l'esistenza di dissidi tra le tre anime della resistenza: gli ex baathisti, gli estremisti islamici locali e i pazzi di Al Zarkawi. Washington spera di poter sfruttare queste divisioni e per questo rilancia, in modo aperto, la trattativa per far entrare nel gioco politico chi per adesso usa solo le armi. Nulla di nuovo, a parte la conferma venuta da una fonte importante come il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. Nell'agosto di un anno fa, il Pentagono ha approvato un piano con il quale fa una chiara distinzione tra chi attacca le truppe americane perché ostile alla loro presenza e i gruppi responsabili delle azioni suicide. In questo quadro è possibile per Washington dialogare con le formazioni nazionaliste che si ispirano ancora a Saddam o a un Iraq "libero dallo straniero". Gli Usa, con la mediazione del sunnita Ayman Al Samarrai ritornato dall’esilio in America e oggi ministro, hanno stabilito contatti con diverse formazioni: l'Armata di Maometto, l'Esercito islamico e Ansar Al Sunna. Quello che colpisce è che non si tratta solo di resistenti ma anche di militanti responsabili di omicidi (quello dell’italiano Enzo Baldoni) e di azioni kamikaze. Gesti gravi che però Washington, con una giravolta rispetto al passato, sarebbe disposta a dimenticare in nome della realpolitik e, soprattutto, della necessità di trovare una via d’uscita. Nella mente degli strateghi statunitensi il negoziato deve portare a quattro risultati: 1) riduzione della guerriglia 2) progressivo alleggerimento dell’impegno militare Usa 3) isolamento delle frazioni qaediste 4) reinserimento dei gruppi sunniti estremisti nella vita politica. E’interessante rimarcare come l’apertura a una parte dei ribelli iracheni coincida con analoghi segnali verso quei movimenti integralisti che fanno attività politica e "anche terrorismo". Tra questi i palestinesi di Hamas e i libanesi dell’Hezbollah. Washington non vuole certo scendere a patti con chimette le bombe, ma ha capito che prima dello scontro si può cercare il confronto. Un dialogo "critico" che induca i falchi a ragionare. Da parte della guerriglia le risposte sono - per forza - caute e ambigue. I seguaci di Saddam hanno chiesto - e non da oggi - garanzie: di inserimento politico e sul futuro di alcuni ex gerarchi. George Bush jr non può fare sconti di pena ai vertici del deposto regime, macchiatisi di crimini atroci, ma può usare l’amnistia nei confronti dei quadri intermedi. Negli ultimi contatti gli insorti hanno poi sollecitato gli Usa a fissare un calendario per il ritiro. Punto che mette insieme tanto i saddamisti che i nazional islamici. Nell’accettare un dialogo sia pure circondato da molte diffidenze la componente pragmatica della resistenza sunnita vuole raggiungere le sequenti mete: 1) Trovare un ruolo politico all’interno del nuovo Iraq. 2) Individuare una forma di lotta che sia ancorata solo all’uso della forza. 3) Evitare di essere associata alla frangia più estrema, quella dei tagliatori di teste che uccidono oggi più civili iracheni che americani. Nessuno tra gli oppositori però vuole fare la figura del collaborazionista. Questo spiega le smentite seguite alle rivelazioni sui contatti segreti e imoniti rabbiosi di "Al Qaeda nella terra dei due fiumi", la setta guidata dal giordano Abu Musab Al Zarkawi. Quest’ultimo ha, a sua volta, dettato le sue condizioni attraverso le azioni suicide a grappoli, con tre quattro kamikaze al giorno. Secondo gli americani Al Zarkawi ha così tanti attentatori che non si preoccupa neppure di stabilire i bersagli. I suoi artificieri riempiono d’esplosivo una vettura, l’affidano a uno ‟shahid” (martire) e lo mandano in caccia. Sarà lui a scegliere dove farsi saltare. Quale è la sua strategia? 1) Aumentare il livello di violenza. 2) Punire chiunque accetti di trattare. 3) Accrescere l’afflusso di volontari islamici dal MedioOriente e dall’Europa. 4) Resistere fintanto che gli americani lasceranno il campo. 5) Portare dalla sua quelle forze irachene che non sono disposte al compromesso. Le spaccature interne 1 Esistono dissidi interni al fronte degli insorti. La resistenza irachena comprende anime diverse: accanto agli ex baathisti ci sono gli estremisti islamici locali e i seguaci di Abu Musab Al Zarkawi, il terrorista giordano che guida ‟Al Qaeda nella terra dei due fiumi”. Washington intende sfruttare queste divisioni. 2) Nell’agosto 2004 il Pentagono ha approvato un piano con il quale stabilisce una chiara distinzione tra chi attacca le truppe americane perché ostile alla loro presenza sul territorio nazionale e i gruppi responsabili delle azioni suicide. Diventa così possibile per gli americani dialogare con le formazioni nazionaliste. 3) Le risposte della guerriglia sono caute e ambigue. I seguaci di Saddam Hussein chiedono garanzie sul proprio inserimento politico e sul futuro di alcuni ex gerarchi. George W. Bush non può fare sconti di pena ai vertici del deposto regime, ma può usare l’amnistia nei confronti dei quadri intermedi La mediazione sunnita. 4) La componente pragmatica della resistenza sunnita spera di trovare un ruolo nel nuovo Iraq, evitando di essere associata alla frangia più estrema, quella dei tagliatori di teste. Attraverso la mediazione del sunnita Ayman Al Samarrai, gli Stati Uniti hanno stabilito contatti con diverse formazioni.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …