Guido Olimpio: L'Fbi ingaggia Mr Zeta contro le talpe di Pechino

21 Settembre 2005
Una piccola insegna sulla porta di un edificio color pastello. Scritte in carattere cinese che, tradotte, significano ‟import-export”, ‟commercio”. Di uffici come questi ce ne sono a centinaia, forse migliaia. In buona parte sparsi lungo la Silicon Valley, la zona degli Stati Uniti dove sono concentrate le industrie della tecnologia. Dietro quelle insegne si nasconde, sostiene l’Fbi, una gigantesca rete di spionaggio cinese. Accuse respinte con durezza da Pechino, che parla di ‟isteria xenofoba” legata alla guerra commerciale tra Occidente e Cina. Ma a sentire gli agenti speciali americani la realtà è allarmante. I servizi segreti cinesi potrebbero contare su almeno 3 mila ditte di copertura, che fanno da riferimento per gli 007 infiltrati e quelli invece arruolati negli Stati Uniti. Per contrastare l’attività di spionaggio, l’Fbi ha potenziato le unità di contro-intelligence nel Paese affidandone la responsabilità a David Szady. Da oltre vent’anni nel Bureau, conosciuto tra i colleghi semplicemente come ‟Mr Z”, Szady si è conquistato la fama di cacciatore di 007. Per un buon numero di anni, ha infatti condotto le operazioni contro gli uomini del Kgb negli Usa. Un avversario temibile, che dava filo da torcere agli americani, riuscendo a nascondere i suoi informatori anche all’interno dell’Fbi. ‟La Cina rappresenta oggi la più grave minaccia spionistica”, ha affermato Szady con la franchezza dello sbirro per nulla preoccupato delle conseguenze diplomatiche. Ai cinesi stanno a cuore i segreti dell’industria americana, la tecnologia, le scoperte, i metodi per realizzare questa o quella sostanza. E, si sa, sono pazienti. Le spie si muovono con accortezza evitando l’assalto diretto, preferendo invece l’aggiramento. Una innocua lavanderia, uno dei mille ristoranti cinesi, un centro per l’agopuntura possono essere la ‟base” dove l’infiltrato riporta ciò che ha scoperto. Da qui il ‟bottino” prende la via di Pechino. Sul campo gli 007 rispondono agli ordini dell’Armata popolare, del Ministero per la sicurezza e di numerosi dipartimenti ‟scientifici”, usati come cortina fumogena per l’infiltrazione. Nel tentativo di sorprendere le difese americane, l’intelligence cinese usa diversi sistemi. Il più collaudato è quello degli studenti-ricercatori. L’Fbi segue con grande attenzione la comunità di ben 150 mila studenti venuti dall’Oriente. Tra questi - e spesso sono i più talentuosi - si mescolano gli 007 che avviano contatti con il mondo accademico, con gli ambienti dell’industria. Ogni occasione è buona per carpire una informazione: il seminario, la visita ad una società, il colloquio con un professore. Altri agenti vengono invece arruolati da Pechino in un secondo momento e la pesca avviene nella comunità dei sino-americani. Pechino, afferma l’Fbi, non fa distinzioni: una goccia di sangue cinese nelle vene trasforma un individuo in una possibile recluta. Come faceva il Kgb durante la Guerra Fredda, Pechino ricorre anche alla famosa trappola di miele. Una 007 donna intreccia una relazione con un dirigente di una industria americana nel tentativo di carpirgli segreti. Se è sposato può venire in seguito ricattato e costretto a rivelare qualcosa. Questa operazione viene lanciata tanto nel territorio americano che all’estero. L’Fbi ha messo in guardia le delegazioni che si recano in viaggio: ‟Fate attenzione a chi incontrate... Le stanze d’albergo possono essere riempite di microspie”. Szady ha ammesso che le partita è dura, più impegnativa di quella sostenuta contro le vecchie volpi sovietiche. Per diversi motivi. Primo, i cinesi sfruttano la loro comunità. Secondo, le imprese Usa hanno interesse a mantenere rapporti con la Cina per ragioni di mercato. Terzo, le spie ‟spontanee” (ossia quelle reclutate in un secondo momento) sono difficili da scoprire. Quarto, la manodopera cinese costa di meno e dunque diventa un serbatoio naturale per le società statunitensi. L’Fbi ha segnalato ormai decine di casi legati allo spionaggio di Pechino, con ‟le talpe sorprese a scavare”. Nella patria dei computer in California, a New York e ovunque ci sia da scoprire nuove risorse per l’industria. Ad accrescere l’allarme hanno contribuito i rapporti arrivati dai servizi di sicurezza Nato: ‟Anche in Europa il Dragone è all’assalto dei nostri segreti”. Il sistema è il solito. Gli agenti pure. Studenti, ricercatori e qualche immigrato che ‟gestisce un ristorante” o ‟si occupa dell’importazione di giocattoli”.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …