Guido Olimpio: Spie, qaedisti e armi. Bush “scopre” l'amico infedele

20 Luglio 2005
Un rapporto ambiguo che lega i movimenti di ispirazione integralista, i jihadisti pro-Osama, l’onnipresente Isi, il servizio segreto. Per alcuni osservatori statunitensi il patto si è evoluto nella legge delle tre A: Allah, Army (esercito), America. Realtà diverse, che hanno convissuto fino alla cacciata dei russi dall’Afghanistan e si sono poi progressivamente allontanate. Al punto che oggi a Washington, pur abituata a servirsi di dittatori e regimi sanguinari, i settori conservatori si chiedono quanto ci si possa fidare del regime. E in particolare dell’intelligence da sempre connivente con il radicalismo. L’emergere di una pista pachistana per la strage di Londra ha rafforzato i sospetti sulla scarsa collaborazione. Specialisti dell’antiterrorismo si sono spinti oltre e, davanti ai ripetuti fallimenti nella caccia a Osama, hanno lanciato la provocazione: al Pakistan conviene che Bin Laden sia braccato in eterno, perché, una volta catturato, diminuirebbe il valore del Paese agli occhi della Casa Bianca.
Questi stessi osservatori mettono anche in dubbio le ripetute operazioni di rastrellamento lanciate dai pachistani al confine con l’Afghanistan. Blitz cosmetici, come gli annunci di arresti, diffusi, guarda caso, quando dagli Usa piovono critiche. Una polemica spesso rimasta dietro la cortina fumogena della diplomazia. Lo prova il balletto di dichiarazioni su dove si trovi Osama. Gli afghani dicono: ‟Non è qui”, sottointendendo che è dall’altra parte del confine. I pachistani rispondono: ‟E’in Afghanistan” e ricordano di aver catturato o estradato 500 terroristi. In mezzo gli americani, che considerano, in modo neppure troppo velato, debole l’impegno di Islamabad nella lotta al qaedismo.I diplomatici Usa fissano l’inizio del ‟tradimento” alla fine del 1990, quando l’Isi e gli 007 sauditi dirottano fondi e aiuti verso il gruppo radicale di Gulbuddin Hekmatyar. In quei mesi gli americani tagliano del 6% gli aiuti ai mujahidin anti- russi, limitandosi a 280 milioni di dollari. Mentre i sauditi non lesinano sui finanziamenti: nel periodo ottobre ‘89- ottobre ‘90 versano 435 milioni di dollari (dalle casse dello Stato), ai quali s’aggiungono 100 milioni offerti da associazioni private. Il regista dell’operazione è il principe saudita Al Turki, che conosce bene Osama e la rete di sostegno ai volontari arabi. Grande ‟amico” degli americani, contribuisce alla Santa Alleanza che mette insieme Isi, militanti islamici, denaro saudita e Cia, finalizzata alla sconfitta di Mosca. Una macchina perfetta. Ma dopo la vittoria della guerriglia a Kabul teme che siano gli iraniani a infilarsi nel vuoto. Quindi, Al Turki manovra per sostenere le fazioni più radicali (con l’aiuto dell’Isi) e per ridurre il peso di Ahmad Shah Massud, visto come un possibile ‟gancio” per Teheran. Dieci anni dopo, alla vigilia dell’11 settembre, Massud sarà eliminato da Al Qaeda.Grazie ai finanziamenti e all’esperienza maturata contro i sovietici, la presenza dei volontari arabi fondamentalisti cresce di peso. E in Pakistan, che fa da retrovia strategico, aumenta l’attività dei radicali. Le scuole coraniche (madrassa) spuntano ovunque: nel 1947 erano 245, nel 2001 sono oltre 6.800. Un buon numero sono gestiste da ideologi fanatici che diventano il faro per organizzazione militanti pachistane. L’Isi le utilizza nelle schermaglie di confine con l’India, ma i campi d’addestramento sono aperti anche a giovani europei e nordafricani. Il Pakistan è luogo accogliente per gli estremisti e i trafficanti, mentre si rinsalda il legame con i qaedisti. Nel 1998, quando Osama annuncia la nascita del Fronte internazionale, tra i firmatari c’è Fazlur Rehman Khalil, leader della Jamiat ul Ansar. Il campo di Dhamial (Rawalpindi), gestito dai suoi uomini, ospita molte reclute straniere. Vicino a Lahore prosperano altre scuole coraniche dove non ci si limita a insegnare la religione, ma si educano i giovani (anche inglesi e francesi) alla Jihad. Ogni tanto le autorità pachistane fingono di intervenire contro gli oltranzisti: in realtà, le formazioni si limitano a cambiare nome. Lungo la frontiera il gruppo Lashkar E Toiba apre campi d’addestramento e a Karachi si nascondono almeno di 20 capi qaedisti. Gli americani lo sanno, ma si trattengono, perché le basi in Pakistan hanno un ruolo importante nel riuscire a mantenere la sicurezza dell’Afghanistan e nella caccia a Bin Laden. Il presidente Musharraf prova, ogni tanto, a contenere gli integralisti e per tre volte tentano di ucciderlo, contando su evidenti complicità negli apparati di sicurezza.Il dossier dei rapporti è però complicato dalla questione nucleare. Non vi sono dubbi che Abdul Khadr Khan, padre dell’atomica pachistana, ha aiutato in modo decisivo Libia, Corea del Nord e Iran nella messa a punto dei progetti nucleari militari. Uno schiaffo a malapena tollerato dagli Stati Uniti. L’intreccio servizi-terrorismo e il coinvolgimento pachistano nel dramma di Londra evidenziano come uno dei motori della rete qaedista non sia in Medio Oriente, usato costantemente dalla propaganda jihadista, ma più lontano. Un ritorno alle origini: in fondo, Al Qaeda è nata tra Pakistan e Afghanistan.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …