Guido Olimpio: Terrorismo. Sfiorati dalle “bombe che camminano”

19 Settembre 2005
Tra kamikaze e cittadino è una questione di spazi. L’attentatore suicida vuole ridurre quelli delle sue vittime, impedendogli di salire su un bus o di andare al ristorante. Chi lo arma intende bloccare la vita di ogni giorno, farti stare chiuso in casa e provare ad eludere la sorveglianza della polizia. La definizione più giusta del kamikaze è ‟la bomba che cammina”. E purtroppo è difficile non solo fermarla ma anche scoprirla. In Israele - una situazione molto diversa da quella londinese - hanno elaborato delle strategie, hanno tracciato dei profili del possibile suicida. Hanno anche redatto un decalogo per aiutare i poliziotti a identificarlo: un elenco appeso alle macchinette del caffè nei commissariati. In molti casi sono riusciti a intercettare la bomba umana, tradita dal sudore, dal nervosismo o dal travestimento sbagliato. Ma 146 volte - statistica degli 007 - i terroristi sono arrivati sull’obiettivo.
A Londra la caccia ai kamikaze è più dura. Cosa hanno in mano gli esploratori dell’unità SO 19 di Scotland Yard per ‟definire” il bersaglio? Nulla o quasi. La razza o il colore della pelle sono ininfluenti. Basta vedere le foto di questi giorni: ci sono anglo-pachistani ricercati come killer e anglo-pachistani onorati come vittime delle bombe. È in questa società multirazziale che si mescola l’euro-jihadista. Usa i suoi simili come copertura, si nasconde dietro di loro, si siede accanto a loro. Il kamikaze non si isola, vuole molte persone attorno per poterne uccidere tante. Può vagare per ore prima di agire. Raggiunge una stazione, sale su un convoglio scegliendo il vagone più affollato. Si intruppa nella folla che esce dal Tube, si mescola a chi fa shopping. È esattamente uno come gli altri. Per questo incute angoscia. Gli agenti devono allora puntare su comportamento e aspetto esteriore. La ‟bomba che cammina” non sempre si muove con decisione, può avere un ripensamento. O incappare in un imprevisto, come il detonatore difettoso. Il kamikaze tradisce nervosismo e il ‟cacciatore” ha una minuscola opportunità di neutralizzarlo. Parliamo di secondi. Al terrorista è sufficiente una semplice pressione del dito e la bomba salta. Per evitare incidenti gli artificieri qaedisti installano due piccoli interruttori collegati a un circuito: il primo è la sicura, il secondo attiva l’ordigno. Il tutto è contenuto in una custodia di un cassetta musicale o celato in un flacone di shampoo modificato. Esistono però sistemi ancora più semplici, come il pulsante di una lampada, una siringa modificata, un bottone nello zaino. L’agente deve bloccare le mani del terrorista e metterlo fuori combattimento, sperando che la bomba non celi una trappola. Per questo Scotland Yard ha passato l’ordine di sparare alla testa dell’obiettivo. Lo speciale team usa pistole Glock, mitra Mp 5 tedeschi, fucili da cecchino, jeep blindate Jankel. Al loro fianco coppie di agenti in borghese, armati in modo più leggero, e sparpagliati tra la folla. Ma, di nuovo, i tempi di reazione sono stretti. Nel clima di grande tensione di questi giorni i falsi avvistamenti sono possibili. La paura fa brutti scherzi e il cittadino è ‟convinto” - in buona fede - di aver individuato un terrorista. Lo 007 può trovarsi nella condizione di dover aprire il fuoco su un uomo che corre verso il metrò mentre la folla grida ‟al kamikaze”. E’davvero un attentatore o semplicemente una persona che è in ritardo? Lo zainetto sulle spalle è un ‟indicatore”? Assolutamente no. Ogni giorno nelle gallerie del metrò centinaia di persone ne hanno uno. Ed è facile immaginare l’atteggiamento dei passeggeri quando vedono un ragazzo dai tratti asiatici sedersi sul sedile a fianco. I loro occhi diventano come lenti di ingrandimento, darebbero chissà cosa per poter ‟vedere” attraverso la tela scura della sacca. Nella loro mente si insinua il dubbio, il gesto banale diventa una mossa studiata. In inverno è ancora peggio. I cappotti e i giubbotti sono ideali per coprire un corpetto esplosivo. Cosa farà la polizia? Costringerà il fermato a denudarsi? La battaglia torna così sugli spazi. I cacciatori creano una difesa a cerchi concentrici provando a tenere lontano il potenziale attentatore. Lui cerca di farsi sotto. Il primo anello di protezione è in strada, tra i passanti, con controlli mirati affidati alle squadre in borghese. Il secondo è agli ingressi del metrò con un filtro prima delle biglietterie. Il terzo è all’interno, l’ultimo scudo. Ma può essere troppo tardi.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …