Guido Olimpio - Paolo Biondani: Imam, una foto della Cia svela il piano del sequestro

15 Novembre 2005
È il 14 gennaio 2003. L’uomo ha la barba lunga, indossa una jalabya chiara e cammina vicino al marciapiede. E’ Abu Omar, l’ex imam della moschea di via Quaranta a Milano, un integralista sospettato di essere coinvolto in attività terroristiche. L’egiziano non si accorge di essere pedinato da un commando della Cia. Lo fotografano all’altezza di un centro medico: esattamente lo stesso punto dove il 17 febbraio sarà sequestrato da un commando di 007. Questa immagine, determinante ai fini dell’inchiesta, verrà trovata dalla Digos nel computer di Robert Seldon Lady, il responsabile della Cia a Milano fino al 2003, ora accusato dalla magistratura di aver organizzato il rapimento di Abu Omar. La foto era stata cancellata dalla memoria ma gli investigatori, avvalendosi di moderne tecniche usate nella lotta al terrorismo, sono riuscita a ripescarla trovando un altro chiodo al quale appendere la loro inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Armando Spataro. Un procedimento che in questi mesi ha portato all’emissione di ben 22 mandati di cattura europei contro altrettanti agenti segreti della Cia. Le donne usate per sorvegliare l’area del sequestro e condurre il furgone sul quale è stato trasportato Abu Omar da Milano alla base aerea di Aviano. I ‟muscoli” della ‟Special removal unit”, l’unità che esegue queste operazioni militari. Gli uomini impiegati nella ricognizione e nella protezione del blitz. Un’operazione complessa. Da Aviano, l’imam è stato trasferito con un aereo speciale nella base americana di Ramstein in Germania e da qui ha proseguito, con un altro jet, verso il Cairo, dove è stato buttato in carcere speciale. Qui ha subito pesanti interrogatori, segnati da violenze e pressioni psicologiche e fisiche. Quasi un anno dopo gli egiziani hanno rimesso in libertà Abu Omar che ha raccontato alla famiglia quanto gli era successo. Rivelazioni che lo hanno riportato in galera - dove si trova tuttora - ma che hanno segnato la prima svolta nell’indagine in Italia. Ora l’inchiesta ha fatto un altro passo in avanti. Il sostituto procuratore generale Donatella Grieco ha ordinato la trasmissione al ministero della Giustizia della richiesta di ‟estradizione” dei 22 latitanti, firmata dai pm antiterrorismo Spataro e Ferdinando Enrico Pomarici. A questo punto l’istanza passa al ministro Roberto Castelli, che è chiamato a inoltrarla alla giustizia statunitense. In teoria il codice consente al guardasigilli di ‟rifiutare o ritardare” la richiesta dei pm, aprendo così un caso politico rilevante. E a questo riguardo è interessante osservare come Castelli sia appena rientrato da una visita a Washington organizzata ‟per conoscere il ministro della Giustizia americano Alberto Gonzales”. Nei colloqui i due ministri hanno discusso di ‟alcune rogatorie” e di ‟casi di estradizione”. Le fonti italiane si sono rifiutate di fornire particolari sui dossier ma è probabile che si sia parlato del caso Calipari e, forse, del sequestro di Abu Omar. Su quest’ultima vicenda Washington ha sempre mantenuto un grande riserbo, ma secondo indiscrezioni - non confermate - gli Stati Uniti potrebbero fare pressioni per bloccare a Roma la richiesta di estradizione. Per la Cia non è sicuramente un momento facile. Le polemiche sull’Iraq, le rivelazioni sulla rete di prigioni segrete e i contrasti sui metodi di guerra al terrore voluti dai falchi dell’amministrazione hanno reso il clima torrido. E gli 007 non vogliono pagare per tutti.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …