Paolo Andruccioli: Il tagliaspese incostituzionale. Un decreto firmato Silvio Berlusconi

15 Novembre 2005
Quel luglio 2004 fu un mese caldo. Le elezioni amministrative avevano decretato la sconfitta della destra. Follini parlava di ‟fine della monarchia”, Fini se la prendeva con il ministro Tremonti, ancora troppo potente: ci vuole collegialità, disse. Nel governo - insomma - c'era molto nervosismo, anche perché la manovra da cinque miliardi di euro che era stata scritta da Tremonti rischiava seriamente di essere censurata da Bruxelles. Il Patto era a rischio e l'Italia stava per beccarsi un bell'early warning dall'Ecofin. Tutte le tensioni interne che sembravano preludere alla crisi di governo, vennero risolte però alla maniera del capo. Giulio Tremonti perse la poltrona da ministro (un altro di una lunga serie di ministri persi per strada). Formalmente si è trattato di dimissioni, ma è stato un licenziamento mascherato da parte di Berlusconi, che sacrificò il suo rampollo antitasse agli alleati, ovvero a Gianfranco Fini. Lo stesso premier si oppose poi con tutte le sue forze all'idea di affidare via XX settembre a Monti. Si oppose talmente bene che si dovette assumere la carica di ministro dell'economia. Ad interim. Il suo sogno di emulare Quintino Sella durò pochi giorni: dal 3 luglio al 15 luglio. Il 16 si insediò al ministero il professor Domenico Siniscalco, docente di economia a Torino.
Il fattaccio avvenne in quel ristretto lasso di tempo. Il ministro dell'economia, Silvio Berlusconi, sentiti tutti i tecnici e i consulenti (anche il professor Brunetta diede un suo parere?), si convinse che per passare l'esame di quei signori tediosi di Bruxelles bisognava inventarsi qualche altro taglio alla spesa. Nacque così il taglia-spese, ovvero decreto legge 12 luglio 2004, n.168, chiamato ‟interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica”. Una carta vincente per la trasferta di Berlusconi a Bruxelles. Gli ecoministri gli hanno creduto, si sono fidati della volontà del governo italiano di mettere un po' d'ordine nei conti pubblici. Per la cronaca c'è anche da ricordare che il primo a compiacersi della ritrovata serietà finanziaria dell'Italia fu un ministro francese. Il suo nome: Nicolas Sarkozy, oggi ministro dell'interno e allora ministro dell'economia.
Sarkozy non convinse però gli amministratori di quattro regioni italiane, la Campania, la Toscana, la Valle d'Aosta e le Marche. Consultati i loro esperti in Costituzione e titoli quinti vari, le quattro regioni decisero di dare battaglia utilizzando vari argomenti giuridici, che alla fine si sono rivelati molto forti. Il ricorso alla Corte evidenzia infatti che lo Stato centrale può legittimamente tagliare le spese a tutti, enti locali e amministrazioni periferiche comprese. Ma non può indicare che cosa si deve tagliare. Lo Stato può insomma mettere dei tetti (come ha cercato di fare Siniscalco in un secondo momento), o tagliare i trasferimenti, ma non può tagliare quella singola consulenza, quei pennarelli, quella carta da fotocopie e via amministrando. La decisione sul cosa tagliare spetta alle Regioni, ai Comuni, agli enti secondo il principio dell'autonomia e del decentramento delle funzioni di governo.
Ieri la Corte costizionale ha dato ragione alle quattro Regioni contestatrici e ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 1, commi 9, 10, 11 del decreto legge 12 luglio 2004, n.168, convertito in legge il 30 luglio 2004. La Consulta non ha recepito altre contestazioni delle Regioni, ma l'aver recepito l'illegittimità costituzionale dell'articolo di base del decreto legge di luglio assume una valenza politica molto pesante. Ora che cosa succederà? Se il decreto taglia spese di luglio non va bene, bisogna ridare i soldi alle Regioni tagliate? Ma la cosa forse più preoccupante per il governo italiano - che nel frattempo ha ritrovato il suo ministro preferito, proprio quello che non piaceva a Fini - è la finanziaria per il 2006.
Nel testo che sta per andare alla Camera dopo aver passato la pantomima dei due maxiemendamenti presentati al Senato, ci sono due articoli che somigliano molto a quel decreto legge oggi bocciato dalla Consulta. In particolare si tratta dell'articolo 3 e dell'articolo 30 della legge finanziaria per il 2006, scritta e rivendicata da Tremonti. In quei due articoli il governo non si pronuncia solo sul ‟quanto” tagliare, ma entra nel merito delle cose da tagliare. Un bel guaio. Senza contare i 5 miliardi che rischiano di saltare per il gentile regalo dell'esenzione dell'Ici della Chiesa e simili.

Paolo Andruccioli

Paolo Andruccioli (Roma, 1955) scrive sulla pagina economica del quotidiano "il manifesto", è stato caporedattore dello stesso giornale e direttore responsabile della rivista di dibattito politico-teorico "Il Passaggio" e della …