Guido Olimpio: La caccia della Cia ai terroristi. Basi segrete in venti Paesi

21 Novembre 2005
Una microspia con potenti batterie al litio, in grado di durare mesi. Un gioiello elettronico costoso, che ricorda Q., l’ingegnere-inventore che si occupa della dotazione di James Bond. Una di queste microspie è stata usata dai servizi di sicurezza italiani per spiare un presunto terrorista; e perché non se ne accorgesse l’hanno nascosta in un libro. A fornire il ‟bug”, la cimice, è stata la Cia in nome della lotta ad Al Qaeda. Così come apparati radio sofisticati, traduttori e in alcuni casi persino denaro per ricompensare informatori che gli italiani - a causa di mancanza di fondi - non potevano pagare. La storia della cimice è solo un esempio di una collaborazione più ampia tra la Cia e una ventina di Paesi. Un fronte sorretto - come ha rivelato ieri il Washington Post, che però non cita esplicitamente l’Italia - da una serie di avamposti segreti in Stati più o meno amici degli Usa. In codice sono chiamati ‟Counterterrorist Intelligence Centers” (Ctic), il budget è garantito dalla sede di Langley, così come il meglio della tecnologia. Gli 007 americani e le loro controparti decidono - su base giornaliera - quali indagini seguire, quali i sospetti da seguire ed eventualmente da arrestare. Viene anche stabilito se il presunto terrorista rimane detenuto nel Paese ospite o se invece debba essere trasferito in uno Stato terzo per subire interrogatori più pesanti. Un sistema conosciuto come la ‟consegna speciale”. Secondo il ‟Washington Post”, la maggior parte dei terroristi catturati dopo l’11 settembre 2001 al di fuori dell’Iraq è merito del patto segreto. In base a un modus operandi ben rodato è la Cia a compiere il primo passo segnalando la figura sospetta, quindi l’operazione è decisa in modo congiunto dal Citc ed eseguita dalle polizie locali, con gli americani in funzione d’appoggio. La rete si estende dall’Europa all’Asia, passando per il Medio Oriente. Nel Vecchio Continente il cuore è rappresentato dalla ‟Alliance base”, struttura con uffici a Parigi che coordina l’attività dei servizi canadesi, tedeschi, australiani, britannici e francesi. Lo scorso luglio fonti della magistratura di Parigi hanno candidamente confermato l’esistenza di una stretta cooperazione. E questo malgrado la Francia sia piuttosto critica nei confronti di Bush. Ma il caso di Parigi non è il solo. La Cia ha ottenuto l’aiuto di governi non certo alleati. Possiamo citare lo Yemen, la Libia, la Siria, il Sudan. In cambio gli Stati Uniti hanno inviato armi, apparati di comunicazione, istruttori, mezzi, soldi. Contravvenendo a una vecchia regola, l’intelligence statunitense ha condiviso con i ‟neo-amici” l’80% delle informazioni elettroniche raccolte. Dalle intercettazioni di telefoni satellitari agli scambi di email. Insieme al Mukhabarat yemenita la Cia ha organizzato un’operazione che ha portato all’uccisione di un estremista centrato da un missile sparato da un aereo senza pilota Predator. Poche settimane fa, il numero due dell’intelligence Usa, ammiraglio Albert Calland, ha compiuto una visita di lavoro a Tripoli, dove si è incontrato con Gheddafi, il raís che per anni gli americani avrebbero voluto vedere morto. Un riavvicinamento reso possibile dalla comune esigenza di fronteggiare il radicalismo islamico. I funzionari stranieri che operano nei Ctic devono superare un’indagine sul loro passato, vengono sottoposti alla macchina della verità ed esaminati con attenzione dagli 007 di Langley. La supervisione dell’avamposto è affidata al capo antenna Cia, al quale si aggiungono elementi inviati di rinforzo. La collaborazione professionale spesso si tramuta in un legame personale. Con gli agenti americani e alleati che condividono tempi di lavoro e tempo libero. Cene, partite di calcio, sfide a tennis, party contribuiscono a cementare i rapporti. Fintanto che qualcosa non va storto. Un esempio? Il rapimento a Milano dell’egiziano Abu Omar: sequestro compiuto dalla Cia e diretto dagli 007 americani basati in Italia. Gli stessi funzionari che hanno aiutato i nostri apparati ad arrestare pericolosi terroristi.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …