Guido Olimpio: Celle come a Guantanamo nella base Usa in Kosovo

28 Novembre 2005
Una Guantánamo in miniatura nel Kosovo. Uno di quei carceri speciali, i famigerati ‟Hotel California”, dove i servizi di sicurezza americani hanno internato presunti terroristi senza processo. A rivelarne l’esistenza con un’intervista a "Le Monde" è il commissario europeo per i diritti umani Alvaro Gil Robles.

La denuncia
È il 2002. L’alto funzionario riceve segnalazioni su arresti extragiudiziari da parte della Kfor, il contingente schierato nei Balcani a protezione del Kosovo. Robles viene quindi condotto a Ferizaj, a sud di Pristina, dove sorge Camp Bondsteel, installazione dove vivono circa 6 mila soldati americani. Ed ecco la sorpresa. All’interno della base c’è un settore composto da baracche in legno, divise da piccoli camminamenti. All’interno vi sono dai 15 ai 20 prigionieri che indossano le tute arancio identiche a quelle indossate dai detenuti di Guántanamo, il primo campo speciale creato dagli Usa per ‟ospitare” gli elementi qaedisti. Robles riconosce almeno quattro persone dai tratti nordafricani, uno legge il Corano. Attorno sentinelle, torrette e militari che si occupano dei prigionieri. Il funzionario europeo riesce a parlare con una donna-soldato che rivela, senza alcuna esitazione, di essere appena arrivata da Guantánamo. Il che fa pensare all’impiego di personale addestrato al trattamento degli estremisti. E conferma come gli americani ricorrano all’uso di donne per creare imbarazzo e disagio a prigionieri musulmani. Robles, colpito da quanto ha visto, chiede che la sezione speciale sia chiusa e sostiene di aver ricevuto un impegno in questo senso. Il centro detentivo potrebbe essere stato smantellato l’anno dopo.

L'indagine
Ma chi erano i prigionieri della mini- Guantánamo? Non si hanno particolari, perché gli americani non ne forniscono. Ma è possibile che la base abbia fatto parte del circuito degli Hotel California, le carceri ‟dove puoi chiedere il conto quando vuoi, ma da dove non te puoi mai andare”. In queste prigioni, ribattezzate dalla stampa Usa ‟buchi neri” sono finiti terroristi ed estremisti catturati in tutto il mondo. La Cia, con una flottiglia di jet e team speciali (le Removal Unit), ne ha assicurato il trasferimento e la detenzione. In alcuni casi i prigionieri sono finiti nelle installazioni gestite direttamente dalle forze Usa (Guantánamo, Salt Pit), in altri casi Paesi amici degli Stati Uniti hanno fornito le loro celle e soprattutto sistemi di tortura. Una di queste operazioni ha riguardato Abu Omar, l’imam di via Quaranta a Milano, rapito da un commando Cia e trasportato in Egitto, dove è stato a lungo seviziato. Nel blitz l’intelligence Usa ha usato almeno due piccoli jet che sono conosciuti come i ‟Guantánamo Express”, nomignolo che dice tutto. Alcuni di questi aerei partono da un insospettabile scalo tra i campi di tabacco della Carolina del Nord.

I voli
Le denunce sui ‟buchi neri” si legano a quelle dei voli clandestini della Cia. Di fatto, non c’è Paese europeo che non stia indagando sui velivoli in transito a partire dal 2001. Il Consiglio europeo ha iniziato un’inchiesta sui movimenti dei jet e sulla possibile presenza di prigioni. A questo fine è stato chiesto l’ausilio di fotografie satellitari che potrebbero aver ‟filmato” i velivoli. Per ora l’attenzione si è concentrata su 31 aerei, passati in Europa negli ultimi anni. Ma il loro numero potrebbe salire. La stampa tedesca ha rivelato che la base principale del network Cia è rappresentata da Ramstein (Francoforte): qui ha fatto scalo anche Abu Omar. Secondo indiscrezioni, la Cia ha continuato a usare le piste fino allo scorsa settimana, incurante delle polemiche e delle denunce.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …