Gianni Riotta: Caso Unipol. Fassino cambia musica

10 Gennaio 2006
A novanta giorni dalle cruciali elezioni di aprile, ‟il mese più crudele” della poesia di T.S. Eliot, il segretario dei Ds Piero Fassino prova a rimettere in squadra il suo partito, squassato dalle emozioni del caso Unipol. Con tradizionale schiettezza piemontese, in un’intervista a Massimo Giannini de ‟La Repubblica”, compie il primo passo per uscire dall’angolo del ring dove è costretto dagli uppercut del centrodestra e dai montanti, a volte velenosi, del centrosinistra. Fassino rivendica con orgoglio temperato da umiltà ‟questo non è un partito marcio” ma ‟errori possiamo commetterne”. Riconosce che se ‟il mio tifo” per il folle volo di Consorte e Unipol ‟è stato fonte di equivoco me ne rammarico”. Il secondo passo del segretario Ds è però il più importante, una condanna della galassia Consorte, ‟conti esteri, depositi illeciti...consulenze equivoche, alleanze discutibili, commistione tra interessi privati e interessi societari”. Fassino non invoca presunti complotti, manovre losche di occhiute Spectre alla 007, intuendo finalmente quale sia per i Ds la deriva pericolosa prima del voto. Lasciare a Silvio Berlusconi, e alla sua poderosa armata di media, l’opportunità di pestare la sinistra, senza fronteggiare lo sgomento e le delusioni serpeggianti tra i militanti e gli elettori indipendenti che potrebbero risolversi all’astensionismo, scatenando i fantasmi del temuto ‟pareggio” nel voto al Senato. Sabato ‟l’Unità” aveva titolato un incontro con il presidente Massimo D’Alema ‟I Ds non sono colpevoli di nulla” ed è come se i due leader si fossero divisi i compiti davanti al passaggio rischioso, fidando sulle diverse personalità. Fassino mobilita la coalizione dell’Unione di sinistra e gli elettori, D’Alema l’anima del partito e le sue organizzazioni. Il primo invita alla riflessione e all’autocoscienza (e già il sindaco Veltroni, in tv da Fazio, rilancia parlando di ‟autocritica”), il secondo alza i toni, senza tregue. Il segretario Ds prova ad affrontare le questioni sollevate da tanti sul comportamento degli eredi del Pci ipnotizzati dalla moderna economia, il presidente, per ora, preferisce il pugno duro ‟contro di noi una campagna a comando”. Sia Fassino che D’Alema sanno che la direzione Ds di mercoledì ribolle di umori, in parte razionali, in parte istintivi. I loro atteggiamenti, felpato e ruvido, rivelano la delicatezza del momento, fronteggiare gli avversari, unire la coscienza di base, non permettere alla sinistra radicale, dentro e fuori i Ds, di usare del malcostume di Consorte per risollevare il totem di ‟un’economia anticapitalistica”. Qui Fassino prende spunto dalla lettera del presidente Romano Prodi a ‟La Stampa”, e riconosce che non si tratta solo di moralità da lucidare ma piuttosto di regole precise di mercato e sistema da definire, imponendone il rispetto a lobby, imprese, partiti e personaggi che dell’economia moderna amano i profitti ma detestano trasparenza, rigore, innovazione e competizione. Coniugare politica ed economia non è facile, come sanno bene gli americani alle prese con lo scandalo Abramoff. Ma certo non è querelando i giornali che il rapporto con l’opinione pubblica si riequilibra. Sono in tanti a porre domande ai Ds, e pochissimi lo fanno con innocenza angelica: ma le domande non possono restare inevase, né essere azzittite con gli avvocati, solo perché l’interlocutore irrita. Si chiamino Giuliano Ferrara, direttore del ‟Foglio” (minacciato di querela perché, a suo giudizio, i fondi di Consorte possono celare tangenti), Barbara Spinelli che accusa D’Alema di ‟disincanto etico” e Fassino di ‟inebetita ignoranza”, Rina Gagliardi di ‟Liberazione” amareggiata perché la sinistra (gulp!) deve ‟vivere dentro il capitalismo”, Valentino Parlato persuaso che i Ds abbiano commesso ‟Non reati ma errori”, gli osservatori vanno considerati con attenzione, giudicandone le domande non per gli interessi o la malizia del caso, ma per le questioni che pongono. Le disinvolte dichiarazioni rese nel corso delle follie d’estate, tra assedio al ‟Corriere” e carica Unipol, incitano contro i leader Ds la destra (invero poco convincente con il peplo di Vestale casta al focolare di affari e politica) mentre la sinistra estrema soffre di sindrome Neanderthal e condanna insieme rivoluzione Internet e affaristi corrotti. Ma la soluzione non è, per D’Alema, stizzirsi contro questo o quel giornalista, né, per Fassino, rincorrere questa o quella citazione della Confindustria. Tutti i leader riformisti possono vedere nel caos di oggi l’occasione per imbalsamare le sirene della ‟diversità” e del ‟come eravamo”, realizzando che ‟governare il mondo moderno” non è un ‟tradimento”, è la sfida più autentica per una forza politica progressista, a garanzia di chi vuole sviluppo. Un partito democratico comune che declini nel XXI secolo le parole e gli ideali antichi di libertà e giustizia non è la morte della sinistra: è la possibile resurrezione di una nuova sinistra. Il resto sono cabale, meschinità e antiquariato, poche idee, molti tarli.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …