Guido Olimpio: I cacciatori invisibili, guidati dal Nevada

16 Gennaio 2006
Sono fantasmi le prede e lo sono anche i cacciatori. L’intelligence americana sospetta che da qualche parte lungo l’esteso confine afghano-pakistano si nascondono Ayman Al Zawahiri, il mullah Omar, defunto capo del regime talebano, e forse - se è ancora cittadino della terra - Osama Bin Laden. Le spie tecnologiche - satelliti, aerei senza pilota, sensori - scrutano i sentieri di montagna e i villaggi. Le spie prezzolate provano a trovare una labile traccia. È poi un robot volante, un Predator, armato di missile Hellfire, a sparare. Appartiene al 15° Squadrone da ricognizione americano, base di Nellis, Nevada, a migliaia di chilometri di distanza dalla zona d’operazioni. È in questa centrale nel deserto americano che si alternano, 24 ore su 24, quasi 180 militari: seduti a una consolle ci sono il pilota e il suo secondo che guida le telecamere e attiva i missili. I militari del quindicesimo squadrone, dal 2001, si occupano dei Predator in Afghanistan e da circa due anni di quelli schierati in Iraq. Sono l’arma segreta per scovare ed eliminare gli «high value targets» come Al Zawahiri o il mullah Omar. Oggi li danno al comando, domani dicono che sono morti. Poi li resuscitano. Proprio come ieri. Non è la prima e non sarà l’ultima voòta. Va avanti così da cinque anni, dopo la caduta di Kabul. I vertici qaedisti. Ayman Al Zawahiri, egiziano, dottore ideologo, diventa voce e braccio di Osama. Braccati da terra e dal cielo si nascondono in una regione remota, protetti da un triplo cerchio di militanti. Il mullah Omar, invece, fa perdere le sue tracce in motocicletta. Al Zawahiri riappare in video al fianco di Osama, Omar - di cui non si conosce con certezza il volto - si limita ad usare messaggi audio. Fonti arabe sostengono che trovino il tempo anche di litigare. Il mullah rimprovera a Bin Laden: l’11 settembre ha di fatto portato alla fine del nostro califfato in Afghanistan. Osama sospetta che invece i talebani abbiano pensato di venderlo agli Usa. Le solite spie segnalano i leader nel Baluchistan, nel Waziristan, in città-giungla come Karachi. Uno degli ultimi «avvistamenti» risale a ottobre e colloca Al Zawahiri nel Kashmir devastato dal terremoto. Fonti improbabili aggiungono: forse è rimasto sotto le macerie e con lui Osama. Ma puntualmente il dottore riemerge dalle tenebre. Anzi, è ormai lui solo ad apparire nei video inviati alle tv satellitari arabe. Cresce il suo peso e aumenta il mistero sulla sorte del capo, Osama, che ha perso il suo ruolo virtuale. Il mullah Omar è più discreto. Ai talebani non sono mai piaciuti i sistemi di comunicazione, considerati una via al peccato. Infatti quando regnavano a Kabul «impiccavano» i televisori, facevano a pezzi i nastri delle cassette. Rimasto alla macchia, il mullah e altri dirigenti hanno riorganizzato la guerriglia importando la tecnica dei kamikaze. Un ritorno che ha allarmato il presidente in carica Karzai che, con una mossa a sorpresa, agli inizi di dicembre, ha offerto il perdono al mullah. Scontata la risposta: non trattiamo. Perché come si è vantato Al Zawahiri in un recente messaggio Al Qaeda è convinta di essere vicino alla vittoria. In Afghanistan come in Iraq.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …