Giorgio Bocca: Modernissimo incredibile Silvio
20 Gennaio 2006
Dicono che è un errore seguire Silvio Berlusconi nelle sue megalomanie erratiche, nelle menzogne e demagogie senza ritegno. Ma il fatto è che il berlusconismo sta dentro il male del secolo, in cui stiamo tutti noi fino al collo, dentro una mutazione della modernità che ha rotto le regole, le consuetudini, i rapporti e i conflitti di classe, gli stili di vita per cui ci sentivamo appartenenti a una storia comune. Berlusconi c'è perché la modernità ha cambiato i rapporti sociali, ha confuso il linguaggio, i valori, perché nessuno sa più cosa sia vero o falso, giusto o ingiusto.
Ma cerchiamo di spiegarci con un esempio. Scoppiano gli scandali dell'Unipol, della scalata alla Rizzoli, della Banca d'Italia, cioè tutti i casi in cui affari personali e aziendali e politici, trame di avventurieri e interessi di partito, di gruppi finanziari ed elettorali appaiono commisti in modo tanto indecifrabile quanto inevitabile. Come se la malattia del secolo avesse cancellato tutte le regole di continuità e di normalità, come se l'anarchia generale avesse travolto tutto ciò che garantiva un minimo di continuità sociale e storica. Continuità in cui stavano anche le grandi rivoluzioni che abbattevano un ordine sociale, ma per crearne un altro più saldo e più adatto ai tempi.
E cosa fa in questa drammatica e confusa transizione il capo del governo italiano? Esorta al buon senso, al rispetto della realtà, alla comune ricerca dei valori tradizionali? No. Rilascia una dichiarazione palesemente falsa e demenziale, afferma di non avere mai mescolato affari e politica e i suoi oppositori o tacciono o se la cavano dicendo che trattasi di una barzelletta da non prendere sul serio. Sarebbe come se un papa dicesse che Dio non c'è e i non credenti ci ridessero sopra come a una uscita divertente.
Berlusconi imprenditore puro fuori dalla politica? Per cominciare un imprenditore fuori dalla politica non esiste e non è mai esistito. Ma fuori dell'iperbole, della retorica, della provocazione i rapporti fra affari e politica in Berlusconi sono colossali, dominanti, soffocanti.
Incomincia come imprenditore edile con i finanziamenti misteriosi, con i miliardi che gli arrivano da vecchietti nullatenenti, continua alleandosi con il socialismo avventuroso di Bettino Craxi, il socialismo che usa sistematicamente la politica come affare, come ‟dazione” di denaro da parte dell'affarismo privato, furto di partito che inevitabilmente diventa furto dei politici.
La certezza che affari e politica sono la stessa indispensabile cosa culmina in Berlusconi nell'entrata ufficiale in politica, cioè, come ammettono i suoi più stretti collaboratori, nella necessità di evitare con la politica il fallimento e la galera.
E allora come si spiega che un uomo abile e attento come Berlusconi abbia fatto una dichiarazione, così impudente, così incredibile? Per due ragioni che si legano al male del secolo, alla modernità anarcoide, alla fine della continuità storica: la fiducia che la modernità ha nei propri strumenti di inganno e di corruzione e la sostituzione del dio che sta nei cieli con il vitello d'oro.
Alla prima appartengono tutte le tecniche e scienze della persuasione palese o occulta che dominano il mercato e ne hanno fatto un gigantesco inganno consumistico. La seconda è che il vitello d'oro è la religione dominante per cui uno come Berlusconi afferma che affari e politica sono la stessa necessaria combinazione, al punto che se uno la pratica non si accorge neppure della differenza.
Costui è dentro la modernità e chi se ne scandalizza ne è fuori. Unica sua consolazione sapere che le malattie, anche quelle della storia, prima o poi arrivano alle loro drastiche cure.
Ma cerchiamo di spiegarci con un esempio. Scoppiano gli scandali dell'Unipol, della scalata alla Rizzoli, della Banca d'Italia, cioè tutti i casi in cui affari personali e aziendali e politici, trame di avventurieri e interessi di partito, di gruppi finanziari ed elettorali appaiono commisti in modo tanto indecifrabile quanto inevitabile. Come se la malattia del secolo avesse cancellato tutte le regole di continuità e di normalità, come se l'anarchia generale avesse travolto tutto ciò che garantiva un minimo di continuità sociale e storica. Continuità in cui stavano anche le grandi rivoluzioni che abbattevano un ordine sociale, ma per crearne un altro più saldo e più adatto ai tempi.
E cosa fa in questa drammatica e confusa transizione il capo del governo italiano? Esorta al buon senso, al rispetto della realtà, alla comune ricerca dei valori tradizionali? No. Rilascia una dichiarazione palesemente falsa e demenziale, afferma di non avere mai mescolato affari e politica e i suoi oppositori o tacciono o se la cavano dicendo che trattasi di una barzelletta da non prendere sul serio. Sarebbe come se un papa dicesse che Dio non c'è e i non credenti ci ridessero sopra come a una uscita divertente.
Berlusconi imprenditore puro fuori dalla politica? Per cominciare un imprenditore fuori dalla politica non esiste e non è mai esistito. Ma fuori dell'iperbole, della retorica, della provocazione i rapporti fra affari e politica in Berlusconi sono colossali, dominanti, soffocanti.
Incomincia come imprenditore edile con i finanziamenti misteriosi, con i miliardi che gli arrivano da vecchietti nullatenenti, continua alleandosi con il socialismo avventuroso di Bettino Craxi, il socialismo che usa sistematicamente la politica come affare, come ‟dazione” di denaro da parte dell'affarismo privato, furto di partito che inevitabilmente diventa furto dei politici.
La certezza che affari e politica sono la stessa indispensabile cosa culmina in Berlusconi nell'entrata ufficiale in politica, cioè, come ammettono i suoi più stretti collaboratori, nella necessità di evitare con la politica il fallimento e la galera.
E allora come si spiega che un uomo abile e attento come Berlusconi abbia fatto una dichiarazione, così impudente, così incredibile? Per due ragioni che si legano al male del secolo, alla modernità anarcoide, alla fine della continuità storica: la fiducia che la modernità ha nei propri strumenti di inganno e di corruzione e la sostituzione del dio che sta nei cieli con il vitello d'oro.
Alla prima appartengono tutte le tecniche e scienze della persuasione palese o occulta che dominano il mercato e ne hanno fatto un gigantesco inganno consumistico. La seconda è che il vitello d'oro è la religione dominante per cui uno come Berlusconi afferma che affari e politica sono la stessa necessaria combinazione, al punto che se uno la pratica non si accorge neppure della differenza.
Costui è dentro la modernità e chi se ne scandalizza ne è fuori. Unica sua consolazione sapere che le malattie, anche quelle della storia, prima o poi arrivano alle loro drastiche cure.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …