Paolo Biondani, Guido Olimpio: “Da Torino all’Iraq un kamikaze per Zarkawi”

31 Gennaio 2006
‟I soldati americani hanno visto spuntare dal nulla Mujahed Shaykh e il leone Abu Umar, che teneva tra le braccia un proiettile d’artiglieria che avevamo collegato a un detonatore per un’occasione come questa. L’eroe ha attivato il detonatore e quattro criminali americani sono andati all’Inferno, mentre Abu Umar è salito in Paradiso”. Il testo è firmato dal portavoce di ‟Al Qaeda nella terra dei due fiumi”: il nome assunto dal gruppo di Al Zarkawi dopo la guerra in Iraq. È stato diffuso dal sito che pubblica i comunicati ‟ufficiali” del terrorista. Racconta le ultime ore di ‟Abu Umar Al Masri”, indicandolo come dirigente della struttura di Zarkawi in Iraq e responsabile diretto di molte stragi. È la celebrazione di un ‟eroe”: una lunga ricostruzione della storia di questo ‟colonnello” della jihad, fino alla morte da ‟martire”. Il testo non svela la vera identità di Abu Umar ‟l’egiziano”, ma fornisce molti elementi, date e luoghi, con un indizio decisivo: ‟È stato in prigione per due anni in Italia”. Mettendo insieme il comunicato e gli atti delle indagini italiane, abbiamo dato un nome e un volto al ‟leone” di Zarkawi: è Alì Misbah, all’anagrafe Hamoud Naji, noto integralista egiziano, arrestato nel settembre ‘98 a Torino. In un garage sotto la sua casa di via Tonale 27 la polizia aveva trovato pistole, proiettili, una mitraglietta e molti lingotti d’oro. L’11 settembre è ancora lontano, l’inchiesta non riesce a provare con certezza che quell’arsenale fosse suo: le armi restano senza padrone e Misbah viene condannato solo per il passaporto falso con cui era arrivato dall’Albania. Sconta tutta la pena in carcere e dopo due anni torna libero. Nel gennaio 2001 fugge dall’Italia. La polizia di Milano, intercettando altri estremisti, scopre che è scappato in Germania. L’ultima sua traccia è un biglietto aereo del 7 settembre 2001. Da allora, più nulla. Fino al comunicato di ‟Al Qaeda in Iraq”. Gli investigatori della Digos e del Ros di Milano ora confermano che ‟torna proprio tutto”: il ‟leone” Abu Omar ha una storia ‟identica” al curriculum dell’ex detenuto in Italia. Misbah, secondo polizia e carabinieri, è un personaggio di peso della Jihad egiziana, il gruppo storico di Al Zawahiri (il ‟vice” di Bin Laden). La sua vita è come un filo rosso che porta dall’Afghanistan all’Italia e che collega il duplice attacco alle ambasciate Usa in Africa (estate ‘98) al complotto dell’11 settembre. In un computer scovato dagli americani a Kabul, che custodiva l’archivio informatico di Zawahiri, una delle 104 schede personali è intestata proprio a Misbah: l’ideologo di Al Qaeda lo ha inserito tra i primi affiliati alla Jihad. La vita da guerriero di Alì Misbah, nato 37 anni fa in Egitto, inizia in Afghanistan, dove combatte contro i russi. È qui che si lega alla Jihad e passa nelle file di Osama. Cacciati i sovietici, con altri reduci ‟afghani” si stabilisce nello Yemen, dove si sposa. Poi va in Albania. A Tirana dai primi anni ‘90 opera una cellula, legata a Bin Laden, che aiuta a organizzare lo spettacolare attacco contro le ambasciate Usa in Tanzania e Kenia. Indagando sulle rivendicazioni delle due stragi contemporanee del ‘98 (arrivate a un negozio di Londra) gli inquirenti inglesi risalgono al gruppo di Tirana, che viene decimato dagli arresti. Misbah però fugge e nel settembre ‘98 arriva in Italia, inseguito da mille segnalazioni. Di qui l’arresto a Torino. Le armi nel box fanno temere attentati o sequestri. Ma al processo, come spesso accade in Italia, l’unica condanna è per il documento falso. Dopo due anni Misbah esce dal supercarcere di Voghera. Nel gennaio 2001 la Digos di Milano, che intanto indaga su un’altra rete qaedista, intercetta i preparativi per la sua fuga. Misbah viene portato alla frontiera in auto da due affiliati del gruppo milanese. La polizia stradale lo ferma ad Arcore, ma lui beffa il controllo mostrando un nuovo documento falso. In Germania trova complici importanti. Ma attenzione alle date. Il 7 settembre 2001, a soli quattro giorni dal massacro delle Torri Gemelle, Misbah viene accompagnato da un indagato per terrorismo (un finanziatore di Zarkawi) all’aeroporto di Francoforte, da dove vola in Pakistan per passare in Afghanistan. Quello stesso giorno fanno lo stesso viaggio i più importanti complici di Mohammed Atta, tra cui il famoso Ramzi Binalshibh. Un caso? Difficile crederlo. L’agenda sequestratagli a Torino dimostra che Misbah era in contatto con l’uomo - Heyder Zammar, detto ‟l’orso” - che ha reclutato i dirottatori-kamikaze della cellula di Amburgo. La storia ricostruita dalle indagini si fermava qui. A raccontarne la fine è il documento che commemora il ‟leone” di Zarkawi: dopo l’11 settembre viene protetto per qualche mese da un capo talebano. Ma ormai l’Afghanistan scotta. Con altri jihadisti fugge in Iran, dove viene arrestato ed espulso in Siria e, da qui, in Arabia Saudita. Poche settimane dopo è già in Iraq, dove sarebbe entrato prima dell’invasione americana. Nel 2003 aspetta da clandestino che passi la prima ondata della guerra e poi ‟entra in contatto con Zarkawi”. Il comunicato lo celebra come ‟l’eroe” che ha trasformato la sua modesta casa in una ‟base” dove ‟ha istruito” decine di ‟martiri”. Quando le truppe americane la circondano, la moglie gli grida: ‟Scappa, non c’è nessuno come te”. Alì Misbah invece si scaglia contro i ‟nemici” e muore, seguendo ‟l’esempio” degli uomini-bomba che ha addestrato.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …