Guido Olimpio: “Roma faccia gesti concreti o rischia un attentato”

24 Febbraio 2006
‟Non bastano le telefonate tra Berlusconi e Gheddafi, servono gesti concreti da parte dell’Italia. Altrimenti rischiate di essere colpiti. Non oggi o domani, magari in un futuro prossimo”. Non è una minaccia, ma l’analisi di un oppositore libico che conosce bene la realtà del suo Paese. Noman Benotman è stato tra i fondatori del ‟Gruppo islamico di combattimento libico”, si è addestrato in Afghanistan, ha sfiorato i qaedisti. Da tempo ha rinunciato alla lotta armata e si dedica - dall’esilio - alla difesa dei diritti umani nel suo Paese. Benotman è una buona guida ai misteri di Tripoli. Partiamo dalle violenze di Bengasi. ‟C’era frustrazione e rabbia, è naturale che la folla si radunasse davanti al consolato. Ma, attenti, è impossibile dimostrare senza l’autorizzazione del regime”, conferma l’esule. E allora cosa è successo? ‟La piazza è esplosa, superando i controlli”. Per Benotman la protesta anti-italiana si muove lungo tre direttrici, divise nel tempo. ‟La prima è nata quasi in modo spontaneo e non si è trattato di un fuoco acceso dagli islamici. Anzi, direi che i più attivi sono i nazionalisti, gli oppositori al regime. La questione delle vignette si è fusa con la ferita del colonialismo, trovando una spinta nei problemi sociali. In modo ora spontaneo, ora cavalcato”. La seconda direttrice dipende da come si comporterà l’Italia nel medio termine. ‟Il caso deve essere chiuso e non solo con i contatti telefonici - avverte l’oppositore -. La Libia può chiedere dell’altro”. Tra le condizioni potrebbe esserci quella di un ‟alibi” italiano per il misterioso intrigo di Moussa Sadr. L’imam, figura di prestigio nel mondo sciita, sparì nell’estate del 1978 tra la Libia e l’Italia. I suoi fedeli sospettano che sia stato eliminato per ordine di Gheddafi. Di recente la procura di Roma ha riaperto il fascicolo e i familiari dell’imam accusano gli italiani di voler coprire Tripoli. I libici temono, invece, di restare bruciati. Ed ecco che la storia delle vignette diventa uno strumento di pressione. Arriviamo al terzo livello del contrasto. ‟Dovete fare vedere ai libici che li aiutate realmente nel sociale, nelle strade, con lavori, imprese. Magari con interventi delle vostre associazioni non governative”, è l’idea di Benotman. Se non vi sarà questa azione l’Italia - anche sul ‟lungo termine” - può rischiare di subire attacchi. Chiediamo all’esule cosa pensa del coinvolgimento degli islamici nella rivolta di Bengasi. ‟È vero c’è una lenta rinascita del movimento, però nell’immediato non rappresenta una minaccia per il colonnello - è la sua analisi -. Resta in attesa per infiltrarsi nella protesta”. Resistono anche piccoli nuclei di jihadisti. ‟Uno sparisce e ne spunta un altro. Hanno la capacità di ricrearsi, sempre su piccola scala”. Valutazione che vale per il suo ex Gruppo: ‟È debole, rimane nell’ombra e spera in tempi migliori”. Benotman, infine, si sofferma sui rapporti tra la Libia e gli Stati Uniti: ‟Esistono ottime relazioni tra gli 007. L’intelligence di Tripoli può aiutare moltissimo gli americani in Medio Oriente e soprattutto in Africa, area dove ha più occhi della Cia”. Uno scenario che trova conferme sul campo. Tripoli avrebbe passato a Washington importanti informazioni sul mercato nero nucleare e sulla presenza qaedista in aree critiche. In cambio gli agenti del Mukhabarat hanno ottenuto la possibilità di interrogare i militanti libici detenuti a Guantanamo e la consegna di due dirigenti jihadisti. Architetto della collaborazione Musa Kusa, potente capo del servizio segreto esterno, per anni considerato dagli americani l’ispiratore di terroristi, coinvolto nella strage di Lockerbie. Suona strano? Mica tanto. Il primo Paese a spiccare un mandato di cattura internazionale contro Bin Laden è stato la Libia. Nel 1998.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …