Paolo Andruccioli: Ripensare la cooperazione

03 Marzo 2006
Le cooperative si ripensano dopo il caso Unipol. E lo fanno ripartendo da un bene prezioso per una forma economica che pretende di essere diversa dal modello tradizionale della società per azioni: la reputazione. È questo infatti il titolo che è stato dato alla lezione all'Università di Modena di Ivano Barberini, ex presidente di Legacoop e ora presidente dell'Alleanza cooperativa internazionale, l'International cooperative alliance, che raccoglie 226 organizzazioni di 150 paesi diversi in rappresentanza di circa 800 milioni di persone. È stato lo stesso Barberini a scegliere il titolo del suo seminario che si è tenuto nella facoltà di economia e a spiegare che il concetto di reputazione non si può confondere con quello di ‟immagine”. Non si tratta infatti di discutere l'immagine che le cooperative hanno nel mondo, ma la loro capacità di essere rappresentative di valori diversi. La reputazione, dunque, non si esaurisce nel marketing. È piuttosto una risorsa, un asset economico che per imprese che vogliono ‟durare nel tempo”, un valore fragile e complesso, frutto di anni di lavoro. Un valore che però è sempre a rischio e che potrebbe essere bruciato in un attimo. Per questo Ivano Barberini ha accettato l'invito, e ha cercato di raccontare che cosa succede oltre il nostro ristretto cortile di casa.
Se si guarda alle esperienze degli altri paesi ci si accorge che il modello cooperativo è molto diffuso. Un dato globale: circa il 50% di tutta l'agricoltura del mondo è organizzato da cooperative. È chiaro anche che in ogni settore dell'economia la cooperazione assume forme diverse, ma lo sviluppo è stato notevole nel corso dei secoli passati; le forme primordiali di cooperazione tra individui possono essere rintracciate circa 250 anni fa. Le prime cooperative della storia sono nate in Gran Bretagna, Francia e Stati uniti. Ripercorrere oggi le tappe di quella storia non è - secondo la visione di Barberini - un puro esercizio intellettuale, ma ci serve per tentare di delineare, anche attraverso la storia stessa, oltre che le scienze economiche, una nuova teoria della cooperazione. Ci si chiede, per esempio, qual è - in fondo - la spinta che muove gli uomini a cooperare? E come si conciliano questa attitudine e queste scelte al carattere prettamente individualista del comportamento umano descritto dalla teoria economia classica?
Le teorie messe in campo spaziano in ambiti disciplinari diversi: si va infatti dalla cooperazione spiegata secondo l'aiuto reciproco, alla teoria dell'istinto ‟innato” di collaborazione, passando per la teoria comportamentistica, per lo scambio sociale (il gioco della fiducia) e le teorie funzionali dei bisogni. Tentativi di interpretazione generale che comunque non riescono finora a dare conto della complessità di un fenomeno che spazia dalle esperienze africane (il ruolo dei leader nella creazione di imprese economiche) alla realtà italiana dove - tanto per fare un esempio - la forma cooperativa si è sviluppata quasi esclusivamente nel nord e al centro, mentre le peggiori esperienze storiche, sempre secondo il presidente dell'Ica, sono state quelle del socialismo sovietico postrivoluzionario. La cooperativa - è la tesi di Barberini - per svilupparsi ha bisogno di essere lasciata libera e quando vengono imbrigliate dai governi sono già un'altra cosa.
Barberini non si è sottratto poi alle domande dei presenti, che volevano sapere quali saranno gli effetti del caso Consorte. Il guaio della scalata di Unipol alla Bnl è stato determinato dalla scelta dei compagni di strada, o piuttosto c'era un errore di base nell'operazione in sé? L'ex presidente di Legacoop risponde che un finanziere come Gnutti non è stato coinvolto solo nell'operazione Unipol, ma ha avuto rapporti con la gran parte del mondo finanziario italiano. E nessuno si è mai scandalizzato. Lo stesso Consorte, ora lo si giudica per le scelte sbagliate, ma bisogna anche ricordare i suoi grandi meriti, conquistati sul campo con anni di interventi a favore di cooperative che stavano in crisi e sono state rilanciate. Sulla faccenda delle consulenze, però, Consorte appare indifendibile. E' stato inconcepibile come un manager come lui, molto navigato nel mondo della cooperazione, non abbia sentito neppure il bisogno di avvisare il Cda delle sue mosse e dei suoi rapporti di consulenza. Problema centrale per il movimento cooperativo, è dunque oggi quello della formazione dei manager. Una formazione all'altezza con le sfide sofisticate del mercato, ma anche del principio di responsabilità.

Paolo Andruccioli

Paolo Andruccioli (Roma, 1955) scrive sulla pagina economica del quotidiano "il manifesto", è stato caporedattore dello stesso giornale e direttore responsabile della rivista di dibattito politico-teorico "Il Passaggio" e della …