Guido Olimpio: Egitto. Un attacco contro i civili, come ha chiesto Osama

26 Aprile 2006
Quel che conta è la percezione. Domenica Osama invita a colpire in modo indiscriminato i ‟crociati”, siano essi civili o militari. Ieri un gruppo di terroristi attacca con una triplice azione un bersaglio ‟morbido”, rappresentato da turisti in vacanza. Un obiettivo che rientra nella categoria qaedista. Forse non ci sarà un collegamento operativo, perché la catena informativa che diffonde i proclami di Osama chiede tempo, ma l’effetto è identico. Quel legame invisibile - che pure esiste - è colto tanto in Medio Oriente che all’Ovest. In realtà le bombe di Dahab provano come il terrorismo ispirato da Bin Laden sia portato avanti da un insieme di gruppi, piuttosto che da una organizzazione. Più movimento che network, con i mujaheddin che agiscono secondo le opportunità e lungo le ampie direttrici indicate dal Califfo. Un terrorismo sicuramente difficile da contrastare perché non lascia punti di riferimento, linee di comunicazione precise. Lo intravvedi, ti aspetti che colpisca questa sera e invece ti sorprende dopo mesi. Quindi chiude il cerchio offrendo il sangue versato alla causa di Osama o del Zarkawi di turno. Infatti l’attentato sul Mar Rosso non è stato preceduto solo dall’intervento audio di Bin Laden. Ci sono stati altri segnali che l’onnipresente Mukhabarat egiziano ha colto senza però riuscire a impedire la terza strage in due anni (dopo Taba e Sharm el Sheikh) e sempre nel polmone economico (grazie al turismo) del Sinai. Segnali che indicano chiaramente come tra il Cairo e la penisola abbiano messo le tende non solo i beduini ma anche cellule di ispirazione qaedista. Il 22 novembre, a El Arish, la polizia intercetta e uccide tre estremisti che intendevano infiltrarsi per attaccare i turisti. Diversi rastrellamenti hanno permesso di neutralizzare un pericoloso gruppo ma - secondo fonti israeliane - non hanno sradicato la base, creata con l’aiuto di elementi locali nel Sinai. Per mesi, i servizi di sicurezza hanno sostenuto che le stragi fossero state opera di una banda composta da beduini e trafficanti. Solo a marzo, il Cairo ha ammesso che i terroristi appartenevano ad ‟Al Tawhid wal Jihad” (Unità e guerra santa), gruppo nell’orbita qaedista. Quasi un mese dopo gli 007 annunciano, con grande fanfara, la cattura di 22 sospetti, accusati di preparare attentati contro installazioni petrolifere, siti turistici e luoghi religiosi cristiani. Gli estremisti - sostengono le autorità - appartengono alla formazione ‟Al Taifa Al Mansoura” (Gruppo vittorioso), hanno imparato a costruire le bombe su Internet e sono in contatto con non meglio precisati ‟complici all’estero”. La loro età varia tra i 18 e i 31 anni, con background diversi: c’è un predicatore, un negoziante, uno studente, un meccanico. Il loro capo si fa chiamare Abu Musab e ha pensato di affittare un terreno da trasformare in campo d’addestramento. L’immagine è quella dei ‟terroristi-fai-da-te”, magari agganciati a militanti con maggiore esperienza. La sigla usata è infatti identica a quella di un gruppo di fuoco catturato in Giordania nel marzo di quest’anno e di una fazione attiva in Iraq. Poi altri due ‟avvertimenti” seri: un possibile gesto dimostrativo contro la nave Queen Elizabeth II e un attacco lungo il canale di Suez in seguito alla crisi delle vignette danesi. L’insieme di questi dati sparsi permette di sintetizzare così il quadro. 1) L’Egitto, buon alleato dell’Ovest, resta un bersaglio privilegiato: il tentativo è quello di imbarazzare il regime e di provocare danni economici con conseguenze sociali pesanti. Neppure la recente liberazione di centinaia di integralisti è riuscita a fare da calmiere. 2) Il Sinai è ormai una piattaforma ideale per nuclei eversivi che usano le zone dell’interno quali retrovie e possono contare su appoggi esterni. La frequenza degli attentati - quasi identici - rivela l’efficienza dei criminali e la carenza degli 007. 3) I qaedisti, come ha indicato l’ideologo egiziano Ayman Al Zawahiri, puntano alla ‟terza fase” o ‟rinascita” che prevede attacchi in Giordania, Egitto, Arabia Saudita, Libano e probabilmente in Israele. 4) Si moltiplicano, a volte usando la stessa firma, organizzazioni che si ispirano ai metodi di Al Zarkawi e risentono dell’effetto Iraq. 5) Sotto il profilo militare, i terroristi dimostrano di saper cambiare tattica, pur cercando di mantenere un’uniformità nella scelta degli obiettivi (facili) come nella dinamica degli attacchi (multipli). Uno sforzo operativo che tuttavia non ha soddisfatto le ali più radicali. A loro dire nessun membro di Al Qaeda ha impugnato le armi ‟contro il Faraone e gli apostati”.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …