Gianni Riotta: Sto con Israele perché la sola pace è nella libertà

20 Luglio 2006
Sto con Israele. Sto con Israele non perché non abbia pena per i 250 morti libanesi e non sia sconvolto per la distruzione delle infrastrutture che, così precariamente, si stavano ricostruendo intorno a Beirut. Sto con Israele non perché non rispetti la dottrina della proporzionalità nell’uso della forza, originata dalla Convenzione dell’Aja del 1907, dall’articolo 49 dell’International Law Commission 1980 e dai Protocolli alla Convenzione di Ginevra 1977. Sto con Israele perché giudicare la proporzionalità non guardando alla posta storica in gioco, ma con criteri contabili ci farebbe dire che fu esagerato sganciare due bombe atomiche sul Giappone in mera rappresaglia per Pearl Harbor. La proporzionalità non è nel conteggio tragico dei 250 morti libanesi contro i 25 morti israeliani. Ogni lettore che, in buona fede, giudica eccessiva la reazione di Gerusalemme dopo il rapimento dei soldati da parte di Hamas e Hezbollah e la pioggia di missili al confine di Gaza e su Haifa, rifletta su come, a rapporti di forza invertiti, si muoverebbe lo sceicco Hassan Nasrallah. Distruggerebbe Israele in poche ore: ‟E’guerra aperta contro Israele” ha confermato alla tv al-Jazeera. L’articolo 51 della Carta Onu legittima oggi Gerusalemme, e l’ha riconosciuto perfino il ministro D’Alema. Sto con Israele perché la ministro degli Esteri Tzipi Livni ha persuaso il premier Ehud Olmert a discutere con la missione inviata dal segretario Onu Annan e perché i quattro punti di Olmert per un immediato cessate il fuoco sarebbero realizzabili oggi: 1) Libertà per i soldati rapiti da Hezbollah; 2) Schieramento dell’esercito libanese nella zona cuscinetto; 3) Ritiro delle milizie Hezbollah; 4) Applicazione della risoluzione Onu 1559 per il loro disarmo. Sto con Israele perché l’attacco parallelo di Hezbollah e Hamas non ha come obiettivo seminare qualche morto. Un kamikaze in pizzeria farebbe peggio. I fondamentalisti sciiti e di Gaza, mossi dalla Siria e dall’Iran assicura il presidente del Council on Foreign Relations Richard Haass, hanno nel mirino Egitto, Giordania e Arabia Saudita. Dei 13.000 missili di Hezbollah, 11.000 vengono dall’Iran, gli altri dalla Siria. Damasco e Teheran, alawiti laici e sciiti integralisti, sono alleati nel caos nichilista e al vertice della Lega Araba, al Cairo, delegati egiziani, giordani e dei paesi del Golfo hanno applaudito quando il diplomatico saudita ha esclamato: ‟No ad Hezbollah, vuole tornare al passato!”. Il giornale del Baath siriano reagisce velenoso ‟Palestinesi e libanesi soffrono, è triste vedere voci arabe unite alla retorica americana”. La comunità internazionale è impotente, gli Usa senza strategia, Israele sola. Siria e Iran alla vigilia nucleare non vogliono proteggere palestinesi e libanesi. Vogliono accerchiare Israele. È Robert Fisk, osservatore filoarabo, a riconoscere che l’attacco era premeditato e infatti, per colpire la nave israeliana con un missile C-802 servono giorni di puntamento e un radar sofisticato, come quelli dell’esercito di Beirut. Quando si ribellarono i musulmani fondamentalisti siriani, nella città di Hama nel 1982, il presidente Assad lasciò 30.000 morti sotto le macerie. Questo è uso sproporzionato della forza. Un contingente Onu di interdizione non può essere dunque il punto di partenza, ma quello, auspicabile, di arrivo. Nel frattempo ci sono tante cose criticabili in Israele, e tante volte le abbiamo criticate. Si può invitare Gerusalemme alla saggezza, alla moderazione, ma oggi stare con Israele è anche il solo modo per avere davvero a cuore un futuro per libanesi e palestinesi dove non ci siano più solo dittatori trionfanti e plebi da inviare al fronte in feroci guerre di sterminio. Perché, malgrado l’Iraq, solo nella libertà c’è pace.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …