Guido Olimpio: La caccia all’erede di Osama

07 Settembre 2006
L’Fbi è sulle tracce di Adnan Al Shukrijumah ben prima del fatidico 11 settembre. Ma in quei mesi - è la primavera del 2000 - il terrorista di Al Qaeda non ha ancora un nome e soprattutto la rete eversiva è sorvegliata con occhio distratto. Diversi informatori rivelano agli agenti federali l’attività di un personaggio sospetto, chiamato ‟il sudamericano” per via del suo aspetto. Ma, aggiungono, può farsi passare anche per un messicano trapiantato negli Usa. Il ‟sudamericano” è infatti cresciuto a Miramar, in Florida, ed ha studiato nei college della regione. Il suo inglese è perfetto, non tradisce accenti particolari. Dopo il Grande Attacco e le operazioni militari in Afghanistan, ‟il senza nome” si guadagna un’identità. Diversi prigionieri qaedisti finiti a Guantanamo raccontano, sotto interrogatorio, del ruolo di ‟Jaffar Al Tayyar”. Di nuovo, è un alias preso da un guerriero che accompagnava il Profeta durante le sue spedizioni. I detenuti sono concordi nell’indicarlo come un tipo deciso e importante. L’Fbi chiude il cerchio e svela parte del mistero in seguito alla cattura di Khaled Sheikh Mohammed, mente operativa dell’11 settembre. Gli agenti gli sottopongono dati, fotografie e altri spunti investigativi. ‟Ksm”, che subisce un pesante trattamento, vuota il sacco. E spiattella chi si nasconde dietro l’enigmatica figura: Adnan Gulshair Al Shukrijumah. Oggi ventottenne, originario dell’Arabia Saudita, nato forse in Guyana, ingegnere elettronico, maestro di computer, l’estremista è un personaggio chiave nelle rete di Osama. È un ‟fixer”, un facilitatore di operazioni, un manager del terrore. È probabile che abbia partecipato ai preparativi dell’11 settembre - si trovava in Florida nella stessa epoca dei kamikaze dell’attacco - e sicuramente ha assunto il ruolo di responsabile di una eventuale ‟seconda ondata”. Negli ultimi cinque anni lo hanno cercato ovunque. Sul tavolo dell’Fbi sono piovute decine di segnalazioni, incoraggiate anche dalla taglia di 5 milioni di dollari. Ma come per il suo mentore, Bin Laden, resta una primula rossa. Adnan è cresciuto in un ambiente integralista. Il padre ha lavorato a lungo in Guyana (Centro America) per il governo saudita, quindi si è spostato a Brooklyn per predicare alla moschea Al Farook, il centro islamico dello sceicco cieco Omar Abdel Rahman. Sono gli anni in cui nasce il primo complotto contro le Torri Gemelle (febbraio ‘93). Poi l’imam prende la via della Florida, seguito dalla famiglia. Adnan è all’epoca uno studente modello, gli piacciono le materie scientifiche. Ben presto, però, è attirato dalla causa jihadista. Il percorso è il solito: prima le preghiere con amici oltranzisti, quindi sedute tv con video dedicati alle guerriglie musulmane, infine il pellegrinaggio militante. Come centinaia di altri giovani musulmani lascia l’Occidente e trova una ragione di vita prima in Pakistan e poi in Afghanistan. Per l’Fbi - ha scritto il ‟Los Angeles Times” dedicandogli la storia di prima pagina - frequenta un campo d’addestramento di militanti kashmiri. In realtà ci prova soltanto. Poiché soffre d’asma lo mettono a fare i lavori: insomma si occupa della mensa. Gli amici aggiungono: è egocentrico, presuntuoso, pensa di essere migliore degli altri. E dunque gli istruttori hanno difficoltà a inserirlo nel team qaedista. Alla fine, però, ottiene quello che vuole. Impara a usare mitra, pistole ed esplosivi. Diventa un perfetto mujahed. I vertici di Al Qaeda preferiscono ignorare le doti di spara-spara e puntano su Adnan come ‟agente in sonno”. È l’infiltrato ideale. Conosce alla perfezione l’America, ha una casa in Florida, si muove come un occidentale. È in questo ruolo che forse entra nel piano dell’11 settembre, certamente partecipa alle fasi successive. Se dovesse esserci un secondo colpo potrebbe essere lui l’ideatore. Nel 2003 scatta la prima allerta generale legata alla sua attività, quindi fonti ufficiose lo collegano a un possibile complotto con l’utilizzo di un ordigno non convenzionale. Nel marzo 2004 - ed ecco un’altra conferma della pericolosità - partecipa a un summit in Waziristan (Pakistan) dove viene decisa una nuova offensiva terroristica, culminata poi con le bombe di Londra. Adnan sembra avere il passo del giramondo. Mesi dopo torna nel cortile di casa, ridiventa ‟il sudamericano”. Informazioni vere e suggestioni si incrociano. L’Fbi, che ha creato un team dedicato alla sua caccia, sguinzaglia mute di agenti a Trinidad, dove è stato visto insieme a vecchi compagni. Passano poche settimane e un messaggio urgente dal Messico avverte su un tentativo di infiltrazione, insieme a un commando, attraverso il Rio Grande. Poi tocca all’Honduras: Adnan avrebbe cercato di stabilire un patto con la gigantesca gang Mara Salvatrucha, che dispone di migliaia di seguaci dal Nord al Centro America. In realtà la notizia appare una favola molto colorata. Gli 007 cercano anche di capire se il terrorista è in grado di guidare un aereo in quanto ambienti integralisti dicono che è conosciuto come ‟il pilota”. La fama di Shukrijuma cresce, gli attribuiscono ogni genere di complotto. In Canada scattano accertamenti poiché qualcuno pensa di aver riconosciuto l’estremista in un bravo ricercatore che si presentava come ‟Ciro Vitolo”. Il sudamericano diventa l’italiano. L’intelligence è scettica e si mette a cercare nel Waziristan, area che ospiterebbe anche Osama. Troppi avvistamenti confondono le idee e aumentano i timori. In particolare uno: che la prossima sorpresa venga da Adnan.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …