Guido Olimpio: I nuovi obiettivi dell’esercito di Osama

25 Febbraio 2007
Nella terra dell’eterno Grande Gioco la regola numero uno è l’ambiguità. Con gli attori che sono pompieri e piromani allo stesso tempo. Centrale il ruolo del Pakistan, la cui politica è condizionata dai legami etnici, dai condizionamenti religiosi, dalle ambizioni regionali e dai doveri verso gli Stati Uniti. Al Qaeda si rafforza in Pakistan Obiettivo Kashmir e Afghanistan I servizi segreti dietro i separatisti. E il Waziristan è ‟l’Emirato del terrore” Il presidente Musharraf vorrebbe chiudere il contenzioso con gli indiani per dedicarsi al più interessante Progetto Afghanistan. Ma i separatisti kashmiri, coccolati dagli agenti della sua intelligence (Isi) e da tempo alleati del qaedismo, seminano morte sul treno dell’amicizia partito da New Delhi. Difficile che possano organizzare un tale massacro senza avere l’assenso di complici pachistani. Quali? Spezzoni dell’Isi, appunto, e forze islamiste per le quali il Kashmir è uno dei bastioni da riconquistare. Una strategia destabilizzante che si sposa con la frammentazione del movimento separatista. Gruppi che cambiano nome (Laskar Janvij, Laskar-e-Toiba, Jash Mohammed) ma che non rompono i solidi rapporti con il Pakistan e scelgono un sistema di lotta ‟internazionalista”. Termine con il quale si implica un ricorso al modus operandi di Al Qaeda. Le bombe di domenica sono state precedute da allarmi con scenario inquietanti: dirottamenti di jet passeggeri, attacchi contro la piazza finanziaria di Mumbai o una installazione nucleare. L’attentato al convoglio ferroviario resterebbe circoscritto se non giungesse alla vigilia della temuta primavera afghana. Perché potrebbe segnare l’assalto delle colonne mujaheddin al debole potere di Karzai. E di nuovo c’è il Pakistan che vorrebbe rassicurare Washington ma fa poco per impedire la battaglia. O meglio gli sforzi, a corrente alternata, di Musharraf sono bilanciati dalle trame dell’Isi e dei movimenti pro-talebani, a cominciare dalla Jamaat Ulema. Sintetizzando informazioni emerse durante gli ultimi mesi il New York Times ha rilanciato l’accusa: la leadership tradizionale di Al Qaeda sta riguadagnando il controllo ed opera senza patemi nel Nord Waziristan (Pakistan). In alcune aree gli estremisti hanno organizzato mini-campi d’addestramento dove vengono preparati dai 10 ai 20 mujaheddin alla volta. Ai combattenti locali si sono aggiunti volontari uzbeki (circa 1000) e quelli arabi. Al Qaeda, che significa la base, avrebbe dunque ritrovato il suo nido dell’aquila. Con Osama - tirato fuori dalla grotta per l’occasione - a fare da ispiratore e Ayaman Al Zawahiri incaricato della fase esecutiva. Ben più consistente però appare la minaccia talebana, articolata su due livelli. Il primo è composto da studenti-guerrieri affiliati al mullah Omar, riconosciuto anche da Al Zawahiri quale ‟comandante supremo dei credenti”. Il leader vivrebbe a Quetta (Pakistan) mentre i suoi alleati - da Dadullah a Jalaludi Haqqani - si nascondono (si fa per dire) nel Waziristan. Fonti indiane indicano poi come importante il ruolo del mullah Haq Yar. Dopo aver passato circa tre anni in Iraq al fianco della resistenza, il guerrigliero è tornato a casa per assumere un incarico militare. Sarebbe lui ad aver importato molte tecniche irachene, studiate sui video incisi a migliaia. Parlano i numeri: nel 2006 si sono avuti 139 attentati suicidi, 1.677 esplosioni di mine/ordigni, 4.542 attacchi diretti. Il secondo livello è animato dai talebani-pachistani, che hanno sfruttato a loro vantaggio l’intesa tra Islamabad e i capi tribali. Una tregua che ha permesso ai militanti di creare basi, raccogliere fondi, ingaggiare reclute. È emerso anche un misterioso personaggio. Haji Omar, con precedenti penali a Dubai e Peshawar, si è autonominato emiro del movimento. Hanno poi accresciuto l’attività fazioni minori, responsabili di operazioni kamikaze anche in Pakistan. Un modo per mostrare solidarietà concreta e intimorire le autorità di Islamabad. Musharraf è consapevole dei rischi. Hanno già provato a farlo fuori e la recente strage a Quetta prova che il paese può restare vittima del clima di violenza. Il presidente dapprima ha usato la forza, inviando migliaia di soldati nelle aree tribali. Il risultato è stato disastroso con perdite tra i militari e i civili. Poi ha raggiunto un’intesa a settembre, sperando che gli anziani avrebbero impedito le incursioni in Afghanistan. Un buco nell’acqua. La tregua ha avuto l’effetto opposto permettendo ai ribelli di stabilire una roccaforte. I vecchi guerrieri spesso sono stati scavalcati dai giovani militanti. E se in Iraq è nato ‟lo stato islamico”, al confine afghano-pachistano è sorto l’Emirato. Per salvare la faccia Islamabad ha creato 98 fortini lungo una sezione di confine, avamposti perduti che poco possono contro militanti mobili e sostenuti dalla popolazione. In fondo Musharraf non vuole passare per il protettore dei mullah, ma neppure è disposto a sacrificare i militanti islamici, che con etichette diverse sono da vent’anni uno strumento prezioso. Sono serviti per cacciare i sovietici - complici Cia e Isi -, li ha raccolti Bin Laden dirottandoli per la sua Jihad, oggi servono per l’ennesima partita su Kabul. È sempre il Grande Gioco.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …