Guido Olimpio: 50 anni di Osama Bin Laden. Il fantasma che non può morire

09 Marzo 2007
Per Osama Bin Laden si avvicina un evento di solito importante per un comune mortale. Il 10 marzo compirà cinquant’anni. Un momento di riflessione su quello che è riuscito ad organizzare dopo aver lasciato l’agio di una ricca famiglia saudita. E uno sguardo in avanti alla vigilia dell’offensiva di primavera in Afghanistan. Un attacco che potrebbe davvero rappresentare un dono di compleanno, dimostrando che sei anni di guerra non hanno indebolito i qaedisti. La Casa Bianca, eccedendo nella propaganda, li aveva dipinti ‟nascosti nelle caverne”. Certamente li aveva colpiti, non sradicati. Oggi riemergono, anche se il loro sheikh non si fa più vedere dal lontano 2004, quando registrò l’ultimo video. Allora apparve senza la tenuta mimetica da guerrigliero, bensì indossando una veste gialla. E pronunciò davanti ad un podio, simile a quello dei presidenti, un discorso da leader politico. Un messaggio poi mantenuto con nastri audio, ‟attribuiti dalla Cia” al Califfo. Quindi il mistero.

In vita
I compagni di Osama - dal mullah Omar a Dadullah - giurano che sia in vita, capace di impartire ordini e di dirigere i seguaci. La pensano così gli americani. Che dopo averlo ignorato per mesi, hanno appena annunciato: c’è la sua mano dietro la riorganizzazione qaedista-talebana, con lui lavora Ayman Al Zawahiri. Solo i servizi segreti francesi, che citavano a loro volta gli 007 sauditi, hanno messo in dubbio questa versione. A settembre hanno ‟imbeccato” un giornale sostenendo che Osama fosse deceduto per malattia in agosto. Altri avevano retrodatato la morte ad aprile. Mancano comunque prove solide. Potremmo metterla così: nessuno ha interesse a sostenere che Osama non è più tra noi. Per i jihadisti è sufficiente credere che lo sia. Non c’è ma è come se fosse lì. È l’ispiratore del movimento e non il capo della Spectre. I suoi testi gli hanno dato comunque immortalità politica e spirituale. Basta ascoltare le intercettazioni degli estremisti in Europa o in Medio Oriente. Lo ricordano come qualcuno che sta al di sopra delle questioni, si riferiscono a lui come ad una Guida, lo tirano in ballo attribuendogli delle lettere per certificare un’alleanza. Diventa un sigillo.

I piccoli
Le direttive più ‟terrene” sono lasciate ai piccoli Osama. Un documentato rapporto del Pentagono, preparato in autunno, ha dimostrato, carte alla mano, che contano di più personaggi intermedi. Al Awda in Arabia Saudita, il siriano-spagnolo Setmarian, il giordano Al Maqdisi. Alcuni predicano e sparano, altri parlano solamente. La libertà di movimento può favorire il sorgere di realtà locali forti e sanguinarie, come quella di Al Zarkawi. Ecco allora gli interventi per riportare ordine affidati al dottore egiziano Al Zawahiri che stranamente si è dimenticato di citarlo. Per gli americani Osama resta un ‟high value target”, una preda da cacciare. Anche se a Washington esponenti importanti puntano al ribasso: ‟Non è poi così importante... È solo una parte del problema”. Analisi che se ha una sua parte di fondamento può suonare come una scusa per non essere riusciti a prenderlo. E loro ribattono sostenendo di averle provate tutte. Lo hanno bombardato a Tora Bora nel 2001 ed erano sicuri di aver fatto centro. Team di forze speciali, in possesso di campioni di Dna, avevano esaminato tombe talebane convinti che fosse stato sepolto sui monti. Un professore di geologia del Nebraska, grande conoscitore dell’Afghanistan, avrebbe fornito indizi esaminando i video che ritraevano Osama. Sostiene di aver riconosciuto le rocce di una particolare area. Uno specialista elettronico, Tom Owen, ha invece comparato la voce diffusa dai nastri registrati da Bin Laden.

Le segnalazioni
La Cia ha dapprima rinforzato la ‟Alec Station”, il comando che gestiva le operazioni, e lo ha poi chiuso lasciando il compito alle truppe sul campo. Un impegno arduo vista l’estensione del territorio da rastrellare, una zona impervia lungo il confine afghano-pachistano. Di fatto un oceano di picchi, anfratti, canaloni a proteggere un ago chiamato Osama. Scarsa l’‟humint”, l’intelligence sul campo, inesistenti gli infiltrati. Pochi i soldati, distolti dal conflitto iracheno. Molta, invece, la tecnologia. Aerei senza pilota, satelliti, diavolerie da intercettazioni che tuttavia non hanno captato nulla di significativo visto che Osama avrebbe buttato il satellitare o affidato ad un uomo di fiducia. Tante le segnalazioni: Bajur, il Waziristan, Chitral. Insieme al Califfo, dice un mujahed, quattro delle 5 mogli. E i figli? Uno sarebbe in Iran. A settembre gli americani ammettono: ‟La pista è fredda da due anni”. A febbraio cambiano idea: ‟È in Pakistan”. Una versione che forse deve convincere la Nato a inviare rinforzi.

Il marchio
Osama non ha questi problemi. Vivo o morto che sia il suo marchio funziona. Lo adottano nel Maghreb, in Somalia, nel cuore della Palestina. Nel dicembre 2001 era sull’orlo della sconfitta, oggi le sue bandiere nere sfidano gli americani a Bagdad e Kabul. Non ha vinto ma neppure perso. Perché allora resta nell’ombra? ‟Osama un giorno ha ammonito suo figlio: la sovraesposizione in tv è dannosa”, ha ricordato un giornale arabo dimenticando che il Califfo ha fatto la sua fortuna con le comparsate satellitari. Osservatori pessimisti temono possa tornare in occasione di una ‟sorpresa”. Forse sono solo speculazioni che però testimoniano quanto inquieti il fantasma di un cinquantenne. Bin Laden si fece intervistare più volte: ecco alcune dichiarazioni all’‟Independent” e a ‟Time” tra il 1993 e il 1998:

La morte
Non ho mai avuto paura della morte. Come musulmani, noi crediamo che quando moriamo andiamo in paradiso.

L'America
L’ostilità nei confronti dell’America è un dovere religioso. I musulmani porranno fine alla leggenda della cosiddetta superpotenza.

Al figlio
I pezzi dei corpi dei nemici volavano come particelle di polvere. Se l’avessi visto con i tuoi occhi il tuo cuore si sarebbe riempito di gioia

Le armi di sterminio
Armi chimiche e nucleari? Sarebbe un peccato per un musulmano non cercare di dotarsene, perché possono impedire agli infedeli di nuocerci.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …