Giuliana Sgrena: L'assassinio di Adjmal. Una doppia barbarie

10 Aprile 2007
Ci eravamo illusi. Spesso ci illudiamo che le nostre logiche siano approssimativamente anche le loro, quelle dei gruppi jihadisti che seguono l'ideologia dei taleban. Una lotta trascendente per la costruzione del califfato la cui cittadinanza è più dell'altro mondo che di questo. In questo contesto il pragmatismo della lotta per il potere si mischia alla trascendenza del fine ultimo. L'ideologia dei taleban non è finita con la caduta del regime di mullah Omar, anzi si sta espandendo dopo cinque anni di occupazione dell'Afghanistan. Sacrificare una vita per la ‟causa” è la normalità per chi è alimentato dalla cultura della morte. Altrimenti perché l'utilizzo di pratiche come quelle dei kamikaze? Anni fa, il portavoce di Lashkar-e-Tayba (l'esercito dei puri, organizzazione pakistana che combatteva in Kashmir, finito sulla lista delle organizzazioni terroristiche della Cia), Muhammad Yahya Mujahid, si vantava di aver introdotto gli attentati suicidi per ‟risollevare il morale” dei combattenti durante la battaglia di Kargil (primavera 1999) sul ghiacciaio dell'Himalaya. E di fronte alla nostra perplessità ci aveva risposto: ‟La differenza tra noi e voi è che con la morte per voi la vita finisce, per noi comincia. Per questo vinceremo”.
Di fronte all'efferatezza dei taleban che hanno liberato Daniele Mastrogiacomo - l'‟infedele” occidentale - e hanno sacrificato il musulmano Adjmal, al di là delle richieste non soddisfatte, c'è una logica ferrea, che non ha nemmeno aspettato la scadenza dell'ultimatum: dimostrare che i governi occidentali pensano solo ai propri concittadini e non si curano dei musulmani. Anche se una simile affermazione può avere qualche fondamento, perché i taleban non hanno mostrato pietà salvando un proprio fratello? Perché non hanno fatto ricorso alla propria ‟misericordia e superiorità” liberando Adjmal Nasqebandi, come ha fatto Ahmadinejad con i soldati inglesi? La maggiore possibilità di manovra del presidente iraniano deriva dal fatto che, nonostante tutte le difficoltà interne, ha il potere nelle proprie mani e può utilizzare lo scenario internazionale a fini interni e anche regionali. Per i taleban è diverso: stanno combattendo lo ‟scontro di civiltà” sul proprio territorio. Devono coprire con atti di forza la loro debolezza, devono mantenere una ‟egemonia” tra i jihadisti sunniti nella regione. A colpi di sgozzamenti.
La stessa logica ha guidato anche il presidente Hamid Karzai che ha scarcerato cinque taleban per ottenere la liberazione di Mastrogiacomo, ma ha rifiutato le richieste per Adjmal. Nel primo caso c'erano evidentemente forti pressioni del governo, che garantisce un forte sostegno al debole presidente afghano, ma nel secondo caso era in ballo non solo il cedimento ai taleban ma la vita di un suo concittadino (anche se per i credenti musulmani conta più la comunità (umma) della nazione). La barbara esecuzione avviene proprio mentre Karzai annuncia contatti (e trattative) diretti con i taleban. Si tratta di un nuovo capitolo della storia del recupero di taleban moderati contro i duri e puri?
Ma finora, almeno tra gli occidentali (statunitensi in particolare), non era prevalsa l'equazione pashtun uguale taleban uguale terroristi? Sì, ma erano stati proprio gli Stati uniti, prima sponsor dei taleban nel 1996 e poi di Karzai, ad avviare lo sdoganamento dei taleban moderati.
Ci eravamo illusi ma avevamo un'ottima ragione: la speranza di salvare Adjmal. Purtroppo non siamo riusciti. Ma speriamo sempre di poter liberare, in questo caso dalla polizia segreta afghana, Rahmatullah Hanefi. La strada non sarà facile, bisogna fare i conti con le ‟logiche” afghane.

Giuliana Sgrena

Giuliana Sgrena, inviata de ‟il manifesto”, negli ultimi anni ha seguito l'evolversi di sanguinosi conflitti, in particolare in Somalia, Palestina, Afghanistan, oltre alla drammatica situazione in Algeria. Negli ultimi due …