Guido Olimpio: La svolta della Camera Usa: “Basta chiamarla guerra al terrore”

10 Aprile 2007
Tutto è nato con una nota interna della Commissione Forze armate della Camera americana. Data 27 marzo, firma del capo staff Erin Conaton. Da questo momento - è il succo - non utilizzate più termini vaghi, a cominciare dalla frase ‟lunga guerra” o ‟guerra al terrore”. Ogni campagna deve avere la sua definizione: dunque ‟guerra in Iraq”, ‟guerra in Afghanistan”. Basta etichette troppo generiche che tendono a coprire dalla lotta ai talebani alla caccia ai predoni del deserto. L’iniziativa, sostenuta dai democratici che hanno il controllo della Commissione, va ben oltre la questione semantica. E infatti i repubblicani sono esplosi, contestando il nuovo vocabolario, sostenendo che in questo modo gli avversari tolgono forza all’azione anti Al Qaeda. ‟Come può l’America combattere e vincere una guerra se i democratici negano persino che abbia luogo?”, ha protestato il capo della minoranza John Boehner. Nascondendosi dietro il bisticcio sulle parole, i due schieramenti in realtà incrociano le sciabole sulle strategie di intervento post 11 settembre decise dalla Casa Bianca. I democratici ritengono che usando in modo disinvolto la definizione ‟guerra globale al terrorismo”, Bush abbia messo insieme la legittima attività di difesa a iniziative sconsiderate. I repubblicani ribattono sostenendo che il fenomeno eversivo è su scala mondiale e dunque richieda una risposta a tutto campo. In Iraq, in Somalia, nelle Filippine, in Iran, ovunque Al Qaeda o altre organizzazioni radicali alzano il loro vessillo. La stessa amministrazione ha però nel corso degli anni riconosciuto l’esigenza di adeguare il vocabolario della propaganda. La ‟guerra globale al terrorismo” (in codice G-WOT) era già diventata ‟lotta globale contro l’estremismo violento” (G-SAVE), una correzione legata alla nuova realtà con Al Qaeda sbriciolata in una serie di gruppi minori, animati più da aspiranti militanti che da ‟soldati” a tempo pieno. Un’area grigia dove il criminale politico diventa tale solo quando compie l’attacco. Bush ha alimentato le polemiche tirando fuori il famoso termine ‟islamo-fascisti”, ispirato dal professore Stephen Schwartz per il quale si tratta di ‟coloro che usano la fede nell’Islam per coprire una ideologia totalitaria”. Ma la vera palestra si è rivelata l’Iraq, con la Casa Bianca e il Pentagono (sotto Donald Rumsfeld) impegnati a rivedere la definizione dei guerriglieri. Di volta in volta sono diventati: ‟malvagi”, ‟elementi del deposto regime”, ‟feddayn Saddam”, ‟jihadisti”, ‟difensori di una causa persa”, ‟estremisti islamici”, ‟ribelli”, ‟insorti”, ‟nemici del legittimo governo dell’Iraq”. Poi è sorto il dibattito sugli acronimi. Nei comunicati gli insorti erano i ‟Fre” (in inglese: ex membri del regime), ma suonava come ‟Free”, ossia libero. E non andava bene per chi aveva servito Saddam. In dicembre la discussione si era estesa ai risultati. Dopo aver annunciato ‟missione compiuta”, Bush è passato al ‟piano per la vittoria”, quindi ad ‟assolutamente, stiamo vincendo”, infine ‟non stiamo vincendo, non stiamo perdendo”. In Iraq non vedono l’ora di scoprire quale sarà la prossima.

Guido Olimpio

Guido Olimpio, 48 anni, è giornalista del ‟Corriere della Sera”. Dal 1999 al 2003 corrispondente in Israele. Da vent'anni segue il terrorismo internazionale e, in particolare, quello legato alle crisi …