Irene Bignardi: King Kong. Ha 70 anni, ma è ancora una bestia

13 Ottobre 2003
La "bestia" per eccellenza, , compie settant´anni. E "Le giornate del cinema muto di Pordenone" (e che in realtà si tengono da qualche anno nella bella Sacile sotto la direzione del grande storico del cinema David Robinson), venendo meno per una volta alla loro ragione sociale che dovrebbe vederle impegnate solo con i film del muto, lo ricordano attraverso un omaggio ai suoi autori, Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack.
Due personaggi che, per la qualità della loro produzione, meritano certamente una retrospettiva, che per la loro storia personale a avventurosa meriterebbero un film ad essi dedicato, e che per senso dello humour e dell´ironia meriterebbero un Oscar alla memoria. Perché si dà il caso che nel film che ha reso più celebre che mai il loro nome e che li ha consegnati alla leggenda del cinema popolare i due cineasti esploratori si sono fatti gioco di sé stessi e dei molti e molti film che sono andati a girare in terre lontane. Veramente lontane, come poteva significare lontano negli anni Venti, quando era una autentica fatica raggiungere i Bakhtiari nel deserto iraniano, come accadde per Grass: a Nation´s Battle for Life (1925), o visitare le Galapagos, come successe a Schoedsack che lì conobbe Ruth Rose, sua futura moglie e futura sceneggiatrice di King Kong, o penetrare nella giungla del Siam, come i due fecero per Chang: la giungla misteriosa nel 1927, che ha inaugurato la rassegna ad essi dedicati, accompagnato da un concerto "live".
Cooper e Schoedsack erano due personaggi speciali, totalmente fuori dai canoni di Hollywood, che, d´altra parte, era anch´essa molto diversa da oggi. Il loro motto - il motto della Cooper-Schoedsack Productions - era "The three Ds: Distance, Difficulty, Danger", lontananza, difficoltà, pericolo. I loro film erano quel tipo di film, adesso temuto ed evitato come la peste salvo che dalla audace tribù dei cinefili, che va sotto il nome di documentario - una parola coniata all´epoca per descrivere l´opera di Flaherty. Erano gagliardi, coraggiosi, avventurosi, eccentrici.
All´inizio della prima guerra mondiale, Schoedsack lavorava come cameraman per la Keystone e si unì alle squadre cinematografiche dell´esercito americano che filmavano le scene di battaglia nell´Europa devastata dai combattimenti. Nel 1926, quando ormai lavorava come giornalista, fu spedito dalla Paramount assieme all´amico Cooper, che aveva incontrato in Polonia, a filmare Hailé Salassié in Abissinia, poi a fare gli avventurosi documentari sopraccitati, quindi a filmare gli sfondi esotici di Le quattro piume, dal popolarissimo romanzo di avventure guerresche, poi ancora a Sumatra (il solo Schoedsack) per Rango. Mentre Cooper, eroico combattente della prima guerra mondiale e grande pilota, più volte abbattuto, viveva tra il mondo dell´avventura cinematografica e quella dell´avventura aviatoria.
Fu nel 1932 che David O. Selznick, allora capo della RKO, propose ai due avventurosi di realizzare King Kong, da un racconto di Edgar Wallace. In cui, appunto, attraverso la penna di Ruth Rose, i due raccontano (forse anche autoironicamente) di un regista, Charles Denham (disegnato sul personaggio di Cooper), accompagnato dall´amico Driscoll (ispirato a Schoedsack), che porta la sua troupe su una remota isola e, come tutti sanno, si fa rapire la sua protagonista Fay Wray dai nativi, che la vogliono sacrificare al loro dio, il gigantesco e meraviglioso scimmione King Kong. Il povero scimmione che si fa sedurre dalle grazie di Fay Wray, catturare, portare in America, dove riesce a fuggire, finendo, nel finale più bello ed emozionante di tutto i cinema di fantasy, sulla cima dell´Empire State Building a catturare e fare a pezzi aeroplanini - fino al tragico epilogo.
A partire dal finto proverbio arabo che apre il film, e che oggi probabilmente susciterebbe l´indignazione dei fondamentalisti, ("E il profeta disse: "E la bestia guardò in faccia la bella. E trattenne le mani dall´uccidere". E da quel giorno era come morto") il film dei due amici è un tripudio di invenzioni e di tecniche che chi ha visto solo la divertente e supertecnologica versione prodotta dall´audace de Laurentiis nel 1976 con la bella Jessica Lange nel ruolo che già fu di Fay Wray non può immaginare. Quando chiesero a Cooper come si fosse immaginato la storia, aveva risposto: "Per procurarmi dei brividi". E´ un po´ quello che diceva anni fa un altro che se ne intende di divertimento, Steven Spielberg, che faceva i film che avrebbe voluto vedere da bambino. A Ruth Rose, al suo debutto per lo schermo, Cooper raccomandò: "Dagli lo spirito di una vera spedizione Cooper-Schoedsack".
Se la storia ripercorreva genialmente il mito della bella e della bestia e, come forse solo in Casablanca, mescolava in una grande tela popolare temi anche molto più profondi - dalla fragilità della moderna città di fronte alle forze scatenate della natura e dei "diversi" ai guasti della celebrità - ci volle però anche il genio di un genio dei trucchi Willis H. O´Brien, bevitore, ex cowboy, autore di fumetti, che, al non modesto costo di 750mila dollari e con l´uso di 60mila metri di pellicola, animò il suo scimmione (di soli settanta centimetri) con tecniche all´epoca rivoluzionarie, fino a farne un´immagine che nessuna altra fantasia ha superato.
Un critico, quando il film prese l´America d´assalto nel 1933, previde che "anche nel 1960 non sarà ancora dimenticato". Viene da sorridere, visto che King Kong è diventato un mito e ha prodotto anche tanti nipotini, sequel e imitazioni. Aggiungiamo, a ennesimo disonore degli Oscar, che questo capolavoro popolare non ne ha conquistato nessuno.

Irene Bignardi

Irene Bignardi (1943) ha lavorato per il servizio cultura de “la Repubblica” fin dalla sua fondazione, e per lo stesso quotidiano è stata critica cinematografica; ha diretto il MystFest, ha …